Il teatro di Samuel Beckett ha portato all’estremo, con una semplicità stilistica non arginabile, la rappresentazione della mancanza di senso e di una vuota esistenza.
Parlando di Beckett, Augusto Romano (in Studi sull’ombra, scritto insieme a Mario Trevi nel 2009) dice: “Dalla vita non si esce, e perciò o la si affronta o la si subisce; tutti i tentativi per esorcizzarla sono soltanto modeste approssimazioni verso una meta che si allontana infinitamente”.
POESÌ di Rino Mele
LA VITA CHIUSA
Non posso uscire dal mio sangue, dal respiro che si ripete.
Come per il piccolo topo,
la trappola che lo sorprende
e trattiene
diventa il suo mondo. Ci abituiamo al labirinto con altri
prigionieri, alcuni
sono fantasmi che gli specchi irradiano nella notte sempre più chiara
(mai la notte è perfetta, ti nasconde e rivela,
risospinge inesausta al giorno).
Non c'è modo per uscirne, la vita
è chiusa intorno, una trappola è il corpo, te ne scordi se non t'addolora.
Vorremo sapere cosa c'è oltre
la finestra sbarrata, altri
fiumi, la selva,
il deserto che conosciamo. Resta
quel muro freddo
nell'attesa invernale della neve,
l'assenza della voce, l'ossessivo ricordare,
come potessimo tornare
dove non siamo mai stati.
Intanto, anche questo mese è terminato,
l'abbiamo come un vagone vuoto
attraversato mentre il treno
affanna
verso una stazione senza nome.
Sull'alfabetiere del bambino, Settembre ha il colore viola del vino.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud, ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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