Mattinata particolare a via di San Pantaleo, una delle piccole strade che si irradiano attorno a piazza Navona. Per una mezz’oretta circa si è di colpo animata per commemorare l’anniversario della scomparsa di Gino De Dominicis; quest’anno il 29 novembre cade di domenica, esattamente come nel 1998, giorno in cui ha cessato di vivere.
Una cospicua combriccola dei più “storicizzati” artisti romani, cioè vecchi e non a caso amici dell’artista scomparso, si è raccolta sotto il suo portone. Con l’appuntamento voluto da Simone Carella, Pio Monti e dall’archivio Franco Angeli, si vuole esprimere il desiderio di intitolare il palazzo a Gino Di Dominicis proprio perché fu da lui abitato. Una strana sorte di flash mob artistico per confermare l’importanza di due sagome sovrapposte all’ovale vuoto degli stemmi che sono di decorazione al portone d’ingresso al sontuoso palazzo, raffiguranti “ Tentativo di volo” in uno e la relativa citazione nell’altro.
Presenti al breve discorso che Pio Monti e Simone Carella hanno pronunciato anche alcuni della famiglia Lancellotti proprietaria del palazzo; tutti gli intervenuti dimostravano tutto l’affetto che li ha legati all’ artista.
Un grande artista, che ha avuto di recente un maggiore ruolo di rilevanza nel mondo dell’arte, forse perché è stato riconosciuta la mancanza, che si avverte, delle sue incredibili opere, tutte caratterizzate dall’assurdo, da giochi di doppi sensi, in quanto Gino era un sostenitore del pensiero filosofico dello scrittore teatrale Alfred Jarry, che con la Patafisica giocava molto sul doppio e sulla molteplicità dei significati, volti a disorientare e a tradire la realtà apparente.
Infatti si è preso ad emblema sugli stemmi proprio quell’esercizio di volo che Gino De Dominicis rievocava come fantasia dell’essere artista. Il disegno dell’uomo in volo al centro dello stemma di sinistra e la scritta su quello di destra realizzavano proprio le sue misteriose quanto improbabili performance.
Questa volta però, l’assurdo era che la cruda realtà prevaleva eccome, altro che Patafisica! Gino che sempre ha scherzato sulla sua morte sino a produrre in una sua opera l’annuncio del suo avvenuto decesso, si è dovuto beccare quello che non era una mistificazione ma la vera sua commemorazione.
Eppure, sarà stato il fascino del palazzo o della strada in cui si affaccia, tutti noi presenti eravamo stregati dal suo fantasma che pareva aleggiasse nei dintorni e persino fra noi. Un momento di vera magia ha caratterizzato l’evento che per coincidenza aveva addirittura la strada vuota dalle macchine per un divieto messo dalla municipale per dei lavori straordinari.
Sarà stato perché la presenza era di soli artisti o per il fatto che si respirava un’atmosfera particolare dovuta al tipo di evento, si è rasentato anche in questo caso l’assurdo del teatro di Jarry. Con tanto di fotografo, Claudio Di Domenico, alle prese di scatti che immortalavano i presenti, ci si trovava in un momento di compianto codinvolti in una performance teatrale dove l’assembramento dei pervenuti si caratterizzava in un’atmosfera un po’ macabra un po’ mondana, un po’ giocosa un po’ seria, un po’ professionale con i ruoli dovuti dei vari operatori e un po’ compagnona grazie al piacere d’incontrarsi, un accadimento che poteva essere benissimo recitato in un luogo deputato come uno spazio artistico di una galleria o di un teatro, ma che invece aveva per scenario la strada della vera abitazione del defunto.
Come dicevamo, ci sono stati interventi spontanei di alcuni dei presenti come Fabio Sergentini, anche se quello che è piaciuto di più è stato quello dell’immarcescibile Marina Ripa di Meana che, con un aspetto quasi da ragazza forse dovuto al suo vivace abito, a differenza degli altri tutti commossi, ha dedicato parte del suo discorso all’allegria delle libertà sessuali della comune giovinezza, parole che a paragone con il presente, caratterizzato da una pesante intolleranza culturale sempre più vicina all’integralismo religioso, imposto se non minacciato anche con il crimine, suonava quasi come un grido liberatorio ed eroico.
Un doveroso ringraziamento va alla famiglia Lancellotti e all’Archivio Franco Angeli.
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