Fin dall’antichità il legame fra la letteratura e la musica, le cui influenze sono reciproche, è sempre stato molto profondo. Ad affrontare questo tema così vasto e complesso è un piccolo volume dal titolo quasi fiabesco pubblicato dalla Zecchini Editore “La lanterna magica” di Alessandro Cazzato.
Un testo, come si può facilmente immaginare, interdisciplinare e quindi intrigante, ma di non immediata comprensione al grande pubblico, suddiviso in 35 brevi saggi presentati in ordine cronologico che vanno dalla mitologia greca ai giorni nostri, passando per la Roma imperiale, il Rinascimento, e il diciottesimo e diciannovesimo secolo. Nella prefazione di Alessandra Montali, i capitoli sono riorganizzati e riclassificati in tre grandi rami: “musica nella letteratura”; “musica e letteratura”; “letteratura nella musica”.
Diverse le prospettive offerte e numerosi gli aspetti curiosi e forse meno noti o sui quali non si riflette spesso. Così, per esempio, si viene a conoscere delle passioni letterarie di alcuni musicisti o dell’attenzione e amore per la musica da parte di scrittori e poeti (Leopardi, Kafka, Svevo e altri).
Non solo. Anche imperatori e governanti erano ammaliati da quest’ultima forma d’arte, tanto da creare appositamente spazi per esibirsi o per promuoverla. Simpatiche e piuttosto significative le due pagine sulla melomania di Nerone, il quale fu avviato al canto dalla mamma Agrippina. Il piccolo, però, non aveva purtroppo una grande predisposizione vocale e dunque, quando giovanissimo salì al potere, organizzò spesso spettacoli in cui le sue esibizioni canore venivano applaudite da un pubblico scelto e appositamente pagato.
Nel Medioevo la produzione musicale nell’Europa prevalentemente cristiana venne “irrigidita”, per usare un termine dell’autore, nel canto gregoriano e quindi venne a mancare anche la “satira giocosa che tanto aveva animato la letteratura greca e latina”. Entrarono in scena, tuttavia, numerosi animali, tanto da creare un vero e proprio bestiario strumentale: “volpi con flauti, maiali con cetre, orsi con cornamuse, somari con vielle, assurti a simboli di saggezza pratica e popolare laddove l’animale sembra più saggio dell’ingenuo uomo medievale”. Una letteratura, quella romanza, che ispirerà il Romanticismo, da Herder ai fratelli Grimm.
Al Rinascimento è dedicato un unico capitolo in cui parla dell’incontro a Mantova presso la corte dei Gonzaga, tra Torquato Tasso e Claudio Monteverdi e dell’influenza ed ispirazione reciproche.
Il resto del libro è in gran parte un’analisi soprattutto degli ultimi tre secoli con particolare riguardo alla musica e letteratura tedesca.
Interessante, però, anche notare un altro elemento: ogni epoca ha segnato l’inizio di un qualcosa che si è diffuso poi molto tempo dopo: nella Grecia antica nacque, come sostiene l’autore, il divismo, ovvero “avidità di guadagno… vanità… sfarzo”, seguito dalla melomania nella Roma imperiale (non solo con Nerone, ma anche con Caligola), mentre risale praticamente ai nostri giorni una forma di “ipertesto in cui il simbolo musicale fornisce nuovi significati (siano essi espliciti o latenti) al testo letterario”.
Anche se già dal diciottesimo secolo si ha un “assaggio” con Willhelm Müller che “fu poeta dalla vena lirica facile e spontanea in cui, tra amori irrisolti, angosce esistenziali e viaggi senza meta, domina il motivo del mormorio del ruscello, dello scorrere incessante del tempo, del monotono crepitare della ruota del mulino e del mugnaio (in tedesco “Müller” come il suo cognome), alter ego dell’irrequieto scrittore, deluso dalla vita e dall’amore che, se nel mondo poetico evocava lande di desolata solitudine, nella vita reale con valore di soldato volontario cavalcava i campi di battaglia delle guerre antinapoleoniche per poi dedicarsi, deluso nelle aspirazioni di libertà dal pesante clima politico della Restaurazione, alla guerra di indipendenza del popolo greco contro il dominio turco, guerra sentita e cantata nei più accesi Griechenlieder, che valsero al poeta il soprannome di Griechen-Müller”.
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