Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

26/12/24 ore

La notte della giustizia all'alba del perdono, di Julia Kristeva


  • Elena Lattes

Cos’è il perdono? E come viene affrontato questo tema all’interno delle varie società e dei diversi gruppi religiosi?

 

Le Edizioni Dehoniane hanno pubblicato a riguardo un discorso che la psicanalista e scrittrice bulgaro-francese Julia Kristeva ha tenuto il 29 ottobre 2015 in un’iniziativa promossa dall’École  Nationale de la Magistrature in ricordo del filosofo Vladimir Jankélévitch accompagnato da un’introduzione commentata molto esplicativa della monaca carmelitana Cristiana Dobner.

 

Basandosi sulla sua esperienza personale, la Kristeva parte dalla tradizione ebraica e più specificatamente dalla Bibbia. Nel Levitico, capitolo 23, si legge del Giorno dell’espiazione (il Kippur), chiamato anche “Giorno del grande perdono”  che è di fatto una “presa di coscienza del posto dell’uomo (…) [ossia] non si tratta semplicemente di un’esperienza personale, ma di una sorta di risurrezione nel grembo della comunità d’Israele, teshuvà di un ritorno all’essere”.

 

Il perdono è infatti una questione principalmente sociale che richiede condizioni precise: è necessario chiederlo a chi si è offeso o ferito e quest’ultimo deve accettare la richiesta e “deve ‘ricoprire’ l’offesa, la lesione o la ferita con una parola che la plachi” e che plachi l’offendente. 

 

Soltanto allora ci si potrà mettere in condizioni di ottenere il perdono divino. Queste due azioni sono legate al tempo, la richiesta al passato, la promessa al futuro. Non nel tentativo che il primo venga cancellato o dimenticato, “perché è impossibile disfare quanto è stato fatto e l’oblio solitario non è possibile in un patto plurale”, ma in un atto di donazione e di superamento dell’odio. Ovvero, “come afferma Tommaso d’Aquino in una discussione con Giovanni Damasceno e san Giacomo, il perdono non è né una tristezza (cioè non implica una compiacenza con l’abiezione e l’orrore), né un tribunale amoroso (che si identifica idealmente con il criminale e vuole salvarlo)”.

 

Dunque, è possibile conciliare il perdono con il giudizio? Sì, perché, nonostante il primo valuti le persone che sono tutte differenti l’una dall’altra e il secondo implichi l’uguaglianza (nei diritti e nei doveri) essi sono due facce della stessa medaglia: il perdono riguarda l’”attore”, il secondo il torto commesso. Dunque il perdono riconosce alla persona la sua umanità.

 

Un elemento essenziale, questo, per capire come affrontare i malesseri della società “civilizzata” i cui sintomi sono “impotenza del discorso politico, improbabile rifondazione dell’umanesimo, inarrestabile crescita degli integralismi, populismo, culti identitari di ogni sorta, crollo dell’autorità, rigetto dei federalismi, esplosione della pulsione di morte…”. In particolare sono i giovani a soffrirne, poiché “incapaci di distinguere il bene dal male, l’interno dall’esterno, il soggetto dall’oggetto”.

 

Il tema del perdono, quindi, investe molti campi, tra i quali anche la psicologia e l’arte, due discipline che, secondo la Kristeva, sono strettamente legate. Per dimostrarlo ella cita Dostoevskij, in particolare Raskolnikov, lo studente di Delitto e Castigo e Freud, riflettendo anche su alcuni aspetti linguistici.

 

Un discorso ad ampio spettro, dunque, dal quale si possono trarre diversi spunti e sul quale varrebbe la pena soffermarsi soprattutto per le sue implicazioni pratiche nel mondo di oggi.

 

 


Aggiungi commento