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18/11/24 ore

‘Confini. Musica tra visioni e follia’ di Adele Boghetich


  • Elena Lattes

Che collegamento c’è tra la musica e la religione? E come si sono posti i musicisti del passato nei confronti della spiritualità e della Divinità?

 

Ad analizzare questi e altri analoghi interrogativi è Adele Boghetich in “Confini. Musica tra visioni e follia” pubblicato dalla Zecchini Editore con la prefazione di Nicola Guerini.

 

L’autrice prende in esame alcuni importanti compositori, quasi tutti appartenenti all’area tedesca, e per ciascuno, una o diverse opere.

 

La prima è Hildegard von Bingen, una mistica vissuta agli inizi del secondo millennio. Ultima di dieci figli, di una nobile famiglia francone, prese lezioni da una monaca di clausura. Fin dall’infanzia ebbe delle apparizioni e ancora giovanissima entrò nell’ordine delle benedettine. 

 

Fondò un monastero e mantenne fitte corrispondenze con regnanti, vescovi e papi ai quali denunciò la corruzione e l’avidità di alcuni esponenti della Chiesa. Fu autrice del “Liber divinorum operum” nel quale espresse le sue teorie cosmologiche “della creazione del mondo mediante l’Amore, la visione morfologica della Terra, la storia della Salvezza” e della “Symphonia armonie celestium revelationum”, un’antologia di settantasette Carmina spirituali, ovvero una sorta di testi altamente poetici, ispirati direttamente dalle melodie “angeliche” che Hildegard riteneva di percepire durante le visioni e nei quali si esalta la forza divina e il potere vivifico e rinnovatore di altre figure cattoliche, nonché la maternità e femminilità di Maria.

 

Il secondo è Johann Sebastian Bach, che “trascorse una vita onesta, intensa e operosa tra la burocrazia di Corti e Consigli municipali… al ‘servizio’ della musica”. Musica che, per il compositore, secondo l’autrice, “consolida il rapporto filosofico tra dimensione umana e dimensione divina nel suo duplice ‘linguaggio’ di preghiera, con cui l’uomo si rivolge a Dio e con cui l’Assoluto irrompe nel finito”.

 

Fra le sue composizioni, “Gottes Zeit” è l’opera che più incarna questa filosofia. Composta ad appena 22 anni, fa parte di una delle 195 Cantate sacre e rappresenta un “felice rinnovamento”, “lontano dalle convenzioni della tradizione per ricreare, nell’armonia dei rapporti musicali, l’Armonia divina”.

 

Si contraddistingue dalle altre cantate, secondo Bogetich, per la struggente commozione che crea grazie al complesso carico di diversi sentimenti e per la rivelazione anche delle inclinazioni razionali, matematiche e illuministe del giovane Bach.

 

Il terzo esaminato è Mozart, con il suo celeberrimo “Flauto Magico”, rivelatore della lotta contro le forze del male e nel quale sono presenti le eterne contrapposizioni fra virtù e vizio, luce e tenebre, sapienza e stoltezza.

 

Segue Beethoven, il quale considerava la musica “il punto di convergenza di tutte le arti, capace di esprimere ‘l’inesprimibile’ della sfera più elevata e nobile dello spirito” e per questo ne fece “una vera e propria ‘religione’ di vita”, riversandovi le proprie inquietudini, ma anche “un profondo amore per la natura e il culto della libertà”. Fra le sue opere la Nona sinfonia ne sarebbe l’emblema. Dopo averne riassunto la genesi e la storia, l’autrice ne analizza il testo e la struttura sia ritmica che strumentale.

  

È poi la volta di Schubert, con “Viaggio d’inverno”, la cui gelida atmosfera riflette “una profonda disillusione esistenziale, che presto diventa tematica costante di poeti e musicisti”.

 

A Wagner, Boterich dedica due capitoli, uno per “Tristan e Isolde” e l’altro per il “Parsifal“ mentre di Mahler prende in esame tre opere, la Terza e l’Ottava Sinfonia e “Il Canto della Terra”.

 

Di Richard Strauss l’autrice analizza “Così parlò Zarathustra”, introducendolo e collegandolo, ovviamente, a Nietzsche, e “Metamorfosi”, un Requiem scritto nel 1945, nel quale, Strauss ormai ottantenne, esprime tutto il suo dolore e “il gelo della propria anima, che mormora sorda e silente sulle macerie di città perdute (…)”.

 

Il penultimo capitolo è un omaggio al compositore e direttore d’orchestra italiano Francesco D’Avalos, scomparso nel 2014, e alla sua visione dell’arte e dell’età contemporanea. A conclusione del breve saggio sono riportati i testi dei Lieder in tedesco e con accanto la traduzione italiana.

 

Come si può facilmente intuire, dunque, “Confini” è un saggio di non facile comprensione per la grande maggioranza dei lettori, che collega sapientemente la musica alla filosofia, inserendole nel contesto storico e sociale dei singoli compositori.

 

 


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