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24/11/24 ore

Anni 70, l'arte a Roma


  • Giovanni Lauricella

Gli anni '70 a Roma sono stati caratterizzati da un apporto culturale nato in alcune gallerie private, ripetendo il fenomeno comunicativo delle mostre realizzate per il lancio degli impressionisti a Parigi.

 

Ci si chiede pertanto perché mai la mitica Palma Bucarelli, rispetto alle due manifestazioni pubbliche più importanti e caratterizzanti di quel decennio, Vitalità del negativo dell'arte italiana 1960/'70 e Contemporanea curate da Achille Bonito Oliva, Pietro Sartogo e Incontri Internazionali d'Arte, non abbia dedicato delle personali allo GNAM che dirigeva, eccetto Burri (1959) e qualcun altro, agli artisti che vediamo adesso con tanta ènfasi esposti in Anni '70 arte a Roma.

 

Una possibile spiegazione potrebbe essere la seguente: offrire l'apporto culturale da parte di artisti qualificati alla D.C. che allora controllava prevalentemente la struttura burocratica della cultura, cioè ministeri, sovraintendenze, cattedre universitarie e case editrici (compresi i finanziamenti per le manifestazioni culturali) avrebbe voluto dire rafforzarla, dandole una patente di cultura democratica che ne avrebbe magnificato il profilo politico, conferendole un prestigio intellettuale che il suo diretto rivale, il P.C.I. di allora, non avrebbe potuto tollerare.

 

Così si calcò fino all'esasperazione il cliché dell'underground, dell'outsider, dell' “essere contro” uno stato controllato da un governo ostile alle nuove istanze che si venivano a creare. Un gioco delle parti, insomma, fatto di falsi ribelli in procinto di diventare dei veri VIP, di contro a dei burocrati del potere, sprovvisti di identità culturale e di una strategia educativa, che si accontentavano del governo delle cose, o, in mancanza di meglio, del sottogoverno.

 

Che l'aspro scontro politico portasse poi alla lotta armata le frange di compagni che “si sbagliavano” era forse inevitabile, ma già il superamento, avvenuto nel ’75, dei voti della sinistra sulla barcollante D.C. creò quell'affermazione di potere nelle istituzioni che sarà la caratteristica più tipica degli edonistici anni '80, quando tutti quelli che avevano negato l'arte e osteggiato la cultura dei padroni si ritrovarono successivamente, spesso senza il filtro dei concorsi e senza la necessaria gavetta come nel caso della legge 285, nelle cariche alte dello stato o seduti dietro le cattedre delle accademie e delle università nonché nelle poltrone delle più prestigiose istituzioni a pontificare e a dividere i finanziamenti.

 

Questo “movimento cospirativo” che vedeva ormai conclusa la rappresentazione dell'arte era politicamente schierato nella logica anti-imperialista, vale a dire che era espressamente e accanitamente anti-americano, sino a simpatizzare per i Vietcong nella contestatissima guerra del Vietnam, cui si dedicavano numerose opere artistiche, ma era paradossalmente ossequioso dell'arte americana sino ad andare negli USA a fare soggiorni di studio, o addirittura a viverci, perché l'Italia era disgustosamente provinciale.

 

Se si apre il libro di storia di arte contemporanea più importante e prestigioso degli anni '70, opera di Giulio Carlo Argan, L'arte moderna 1770-1970 (Sansoni, Firenze 1970), questo tratto si evince molto chiaramente: basta paragonare il numero delle pagine offerte agli artisti italiani rispetto agli imperialisti statunitensi.., tanto che si dovrà aspettare la Transavanguardia per pareggiare i conti e capire che molto si è sacrificato agli U.S.A. per amore dell’ ideologia.

 

E in maniera molto sibillina questa mostra ce lo lascia capire, al punto che questa Roma degli anni ’70 piacerà più del solito, anche grazie al fascino della memoria condivisa (eravamo tutti giovani allora…) e perché l’atmosfera di quegli anni verrà rievocata dalla bella rassegna cinematografica affiancata all’esposizione ricca di nomi significativi come la conferenza di Achille Bonito Oliva.


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