Come a farsi giuoco dell'argomento, la mostra prende il titolo da un'opera di Eugène Ionesco Amedeo, o come sbarazzarsene, “inscenando una pièce” che è stato il travaglio della concezione dell'arte astratta, prendendo quattro artisti di nazionalità differenti, che hanno lavorato nello stesso periodo, in un contesto che era quello del rifiuto della pittura di cui sono stati interpreti in prima persona, con delle opere che sono state dirompenti per quei tempi e che adesso vengono esposte a testimonianza dei traguardi raggiunti.
L'italiano Fabio Mauri e l'americana Marcia Hafif, che lavorarono a Roma, e il francese Martin Barré e lo svizzero Olivier Mosset, che gravitarono a Parigi, forniscono le opere per La pittura o come sbarazzarsene in un percorso espositivo che ben esprime le ansie artistiche di quei tempi.
Segni su tela, superfici vuote, assenza di colore, forme elementari, sono atti pittorici indirizzati verso la distruzione della pittura. Così come anche un quadro eseguito con lo spray, nuvolette di debole colore proprio a dimostrare l'inconsistenza della superficie colorata.
Non ci sono solo quadri: infatti vediamo preponderanti le sculture di Olivier Mosset dal titolo ironico Tobleron, preso dalla più famosa cioccolata svizzera. Sono grandi parallelepipedi trapezoidali bianchi, simili a quelli che furono posti al confine della Svizzera come ostacoli per i carri armati tedeschi nel '43, il cui significato suona sibillino.
Non mancano i video di rappresentazioni artistiche, che poi vennero chiamate performance e divennero sempre più consuete negli anni a seguire per tutti gli artisti d'avanguardia.
Opere che, volendo essere scettici, di per sè non sarebbero niente di eccezionale, ma che hanno un potente valore indotto dalle scelte della vita fatte dagli artisti e da come sono state usate.
Così Fabio Mauri, che insieme a Pier Paolo Pasolini fonda nel 1942 la rivista il Setaccio o nel '68 con Balestrini, Sanguinetti, Eco, Porta, Barilli, Filippini, Arbasino ed altri intellettuali militanti che cavalcavano l'onda della cultura, fonda la rivista “Quindici”.
Marcia Hafif ha pubblicato nel '78 Beginning Again, un testo molto considerato negli USA dove sostiene la morte della pittura; Martin Barré è noto per le sue pitture eseguite con il tubetto del colore; Olivier Mosset fonda nel '66-'67 insieme a Daniel Buren Michel Parmentier e Niel Toroni il gruppo decostruttivista BMPT, e subito dopo insieme a Marcia Hafif nel '70 il “New York Radical Painting Group” .
Anche se non sono dei precursori (come il meno famoso ma altrettanto importante Georges Mathieu che usava i tubetti di colore sui quadri nel '47 o Piero Manzoni che fece i quadri chiamati Acrome nel ‘57), sono artisti che contano molto nella scena artistica per quello che rappresentano; le loro opere sono delle azioni espresse a testimonianza di quello che i loro creatori sono, non di quello che l'opera obbiettivamente è. Si fregiano così di essere rivoluzionari più di coloro da cui attingono le idee e della rivoluzione artistica sono l'emblema per eccellenza.
L'opera che producono vale per il contesto che suscita, per la citazione intrinseca a cui quel gesto rimanda, ribaltando e annientando tutti i criteri di valutazione corrente.
Quelli che vediamo esposti sono cimeli di una guerra artistica davvero mondiale, vessilli di capisaldi ideologici, teste di ponte per il ricambio sociale dell'arte, antefatti di uno scontro culturale.
La pittura o come sbarazzarsene
dal 11 giugno al 14 settembre
Villa Medici, Roma
a cura di Éric de Chassey
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