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24/11/24 ore

The future of plastic al Plart di Napoli



Il futuro è in un fungo? Si, in un fungo vi è  uno dei futuri possibili, rispondono Caterina Miraglia, Marco Petroni, Bas Ernst e Maurizio Montalti, convocati da Maria Pia Incutti per una conferenza stampa al Plart lo scorso 10 luglio...

 

Il Plart, a Napoli in via Martucci 48, è un museo della plastica, e non solo. Nato sei anni fa, si presentò con il mostrare, in una bella vetrina magnificamente curvilinea, oggetti in plastica di uso comune. Erano telefoni, caffettiere, gioielli, gingilli e tessuti che della plastica, da quando è stata inventata (la prima fu il rayon, nel 1855, e poi seguirono la celluloide, la bachelite, l’italiano moplen e così via), testimoniavano la storia. E testimoniavano anche lo sviluppo della tecnica e le modifiche del gusto: la storia umana. A volte gli oggetti artistici contemporanei sono di questo materiale indistruttibile ma spesso deformabile, ragione per la quale il Plart non nasceva soltanto come museo ma si forniva anche di un laboratorio di restauro e conservazione.

 

Oggi il Plart si è ingrandito nelle attività e negli spazi, mutando spesso la disposizione degli ambienti e delle opere artistiche: in una grande sala ne campeggia una di Anselm Kiefer, mentre altre opere sono tenute in disparte. Oggi è un luogo ampio, estremamente elegante, giocato su un bianco che appanna i limiti delle cose e quasi cancella rendendoli rarefatti i muri. Ora vi si aggira la figura di una snella giovane donna che tende a essere eterea con il leggero tessuto chiffon dell’abito lungo, mentre mastica un chewing gum poco elegante ma che sempre di plastica è. Sul tavolo dei convegnisti c’è il richiamo alla natura  in due zucche dalla forma singolare, allungata e contorta: sull’una è inciso "sesto compleanno Plart" e "festival internazionale del design" sull’altra.

 

Caterina Miraglia, assessore alla cultura della Regione Campania, dichiara di essere ben felice di avere aiutato, usando fondi europei, questo festival finanziato da Umberto Paliotto, direttore della Fondazione Plart, una istituzione, afferma con ammirazione, che ha tentato, a Napoli, una strada nuova e difficile e ha avuto il meritato successo. Se ne compiace, gentile, elegante come sempre nella sua semplicità, Maria Pia Incutti Paliotti, presidente della Fondazione, che porta grandi occhiali, dalla montatura di plastica, s’intende, e, togliendoseli, rivela il suo sguardo vivace e comunicativo.

 

E mentre Marco Petroni, curatore artistico e scrittore, si presenta come un ben agguerrito interprete della contemporanea critica d’arte, Bas Ernst, rappresentante dell’ambasciatore olandese, legge il discorso che ha preparato, e molto non si capisce, forse perché i tempi della sua lettura non rispettano le dovute pause dello scritto.

 

Poi, finalmente il protagonista della giornata, l’autore delle opere nella mostra "The future of plastic" che si aprirà l’indomani, inaugurando, così, il "Festival Internazionale del Design". E’ un trentaquattrenne di Cesena, che si è laureato in Ingegneria Gestionale presso l’Università di Bologna e ha concluso un corso di perfezionamento presso la Design Academy della Technische Universiteit di Eindhoven, in Olanda, dove si è stabilito fondando, ad Amsterdam, lo studio "Officina Corpuscoli" (con il nome italiano), per studiare nuovi materiali.

 

Ci racconta di avere sperimentato il procedimento con cui un fungo, penetrando in materiali organici, quali scarti agricoli o di falegnameria, sviluppa una intricata rete di filamenti che costituiscono il collante di un nuovo materiale ignifugo e idrorepellente, quello appunto degli oggetti in mostra. I risultati della sua ricerca si avvalgono, tra l’altro, della collaborazione degli altri operatori dello studio, di Utrecht Universiteit, di Mediamatic e di Netherlands Organization for Scientific Research.

 

Anche lui è preparatissimo nella scienza della comunicazione e il suo discorso è attraente. Si presenta quale inventore di questo nuovo materiale e dice che, essendo dotato di spirito democratico, vorrebbe mostrare la sua scoperta democraticamente a tutti. Ma, aderendo alla lotta contro le multinazionali, vorrebbe lanciare questo materiale sul grande mercato, senza consentire a queste, se accettasse di essere un semplice loro stipendiato, di procacciarsi un esagerato e immeritato profitto. Eppure, ne ricordavo vagamente qualcosa e su internet ne ho trovato conferma, già la Bayer e altre grandi multinazionali sperimentano materiali ottenuti con l’apporto della micologia.

 

Ma perché Montalti ha scelto l’Olanda? Perché lì più che altrove – ci informa - per questo tipo di ricerca vengono erogati fondi. I quali però non possono essere dati all’infinito, per cui il giovane ricercatore adesso cerca finanziamenti da altre istituzioni e dai privati.

 

Poi Montalti indugia sulla definizione del processo creativo, che impone di tralasciare le acquisizioni già codificate. Cioè, come dicevano gli Investiganti napoletani del Seicento, impone di "andare oltre le pareti di carta".

 

La visione della mostra "The future of plastic", a primo acchito, mi ricorda quella degli  achrome di Piero Manzoni, giocata sui bianchi. Qui la mostra gioca sui beige, variamente e casualmente modulati, secondo i materiali "coltivati" dai funghi. Una sinfonia di beige più o meno chiari fino al quasi bianco, con delle venature a macchie scure. Che denunciano l’essenzialità della lavorazione. Non hanno subito la colorazione dei colori sintetici e si presentano così, nella loro verità naturale, suggerendo i nuovi scenari di un mondo diverso. Gli oggetti sono vari tipi di contenitori. Hanno una  forma geometrica semplice, essenziale: sono vasi cilindrici o poligonali di varie misure e altezze.

 

Marco Petroni cita "il nuovo paesaggio italiano". Un mondo diverso. Che azzera gli oggetti luccicanti alla Jeff Koons e i caldi e forti colori dei soleggiati spazi mediterranei, e suggerisce paesaggi olandesi dall’orizzonte basso e poco cielo. Mentre richiama alla fantasia le severe architetture delle chiese dipinte dall’olandese Pieter Saenredam, ben diverse dallo splendore delle chiese nostrane, cioè richiama alla fantasia il rigore protestante e una concezione più spartana del vivere.

 

Dunque, il futuro possibile di un fungo sarà il ritorno a un certo sentito cristianesimo primitivo, ricco di spiritualità, o l’umiliato, monotono, asettico, uniforme, egualitario, per di più tecnologico  mondo depresso dei nuovi poveri?

 

Adriana Dragoni

 

 


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