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23/04/24 ore

Teatri di Guerra, alla inARS Gallery


  • Giovanni Lauricella

Quest’anno da noi ricorre l’anniversario della prima guerra mondiale, che in più parti è stato celebrato, ma non debitamente e meritatamente, nella città di Roma, almeno per quello che si è visto. Anche se generalizzando molto, non sfugge a questo giudizio nemmeno Teatri di Guerra, la mostra che si sta svolgendo alla inARS Gallery – Libreria Arion Montecitorio (fino al 3 ottobre 2015).

 

Infatti se si guarda l’esposizione dei quadri nella libreria, che già di solito ha esposte parecchie immagini pubblicitarie e copertine i libri, ci si trova di fronte ad un bazar di arte varia sulla guerra, il cui il filo conduttore non è semplice da seguire, una cacofonia visuale  che è anch’essa una guerra che l’occhio deve affrontare per distinguere che cosa ha di fronte.

 

Ma questa celebrazione nazionale è stata poco consona alla portata dell’argomento anche nei media; non parliamo poi del campo degli intellettuali e dei politici. Un compunto ossequio ai lutti portati dal conflitto, sul filo del grigiore istituzionale.

 

Una storia che sembra non dia nessuna esperienza, un dibattito floscio che ha persino prodotto una serie di libri che le case editrici si sono apprestate a immettere sul mercato come a narcotizzare chi si preoccupava di sapere qualcosa di nuovo.

 

In pratica, tutto il patrimonio del pacifismo e della nonviolenza è andato in fumo, dopo anni di opposizione alla guerra, da quella in Vietnam fino a quest’ultima in Iraq, pare che di tutto quello che la Guerra Mondiale ha apportato non ne sia rimasta traccia: una lobotomia storico-culturale che ci ha lasciato sbigottiti.

 

Vale la pena fermarsi qui, perché si dovrebbero spendere pagine su pagine per bacchettare tutta questa orda di imbonitori che ci ha sottoposto per anni a elucubrazioni teoriche ed anatemi quando poi di colpo fanno come se nulla fosse successo. La verità è che il dibattito storico non esiste a fronte di cattedre, università varie, case editrici e autori che devono la fama ai  salotti televisivi.

 

Un atteggiamento che mi fa pensare ad una società autistica che va avanti senza la piena coscienza di quello che si è.

 

Così la prima o la seconda guerra mondiale sono pari, come nella mostra alla libreria. ... Sembrano disastri, che hanno decimato milioni e milioni di persone, che non insegnano niente, su cui c’è poco da aggiungere oltre quello che c’è stato. Sono come l’apparizione della Madonna di Fatima o i romanzi del Signore degli Anelli: sì la prima è stata nella grotta ‘15 -’18, la seconda l’abbiamo vista in quella ’39 -’45.L’errore di prospettiva storica è voler ignorare che la guerra non ha un inizio e una fine in date precise. Ad esempio, il 1914 è stato preparato dalle guerre balcaniche e il 1939 da quelle del periodo di “pace” precedente. …

 

Ricordiamoci anche che a scatenare il casus belli della prima guerra mondiale fu il gesto omicida di uno studente serbo contro l’arciduca Francesco Ferdinando, episodio del 1914 che ha un inquietante analogia con quello che oggi è quotidiano: un atto terroristico da parte di un idealista, che era collegato a tutto un movimento internazionale anti monarchico che a quel tempo vedeva nella figura dell’anarchico bombarolo un mito nel quale molti giovani credevano. Cito a proposito una recensione su Agenzia Radicale di Sam Durant e Hidetoshi Nagasawa al Macro di Roma organizzata da  Pietro Marchi, che nella mostra di Sam Durant dimostrava l’analogia dei due movimenti anarchici, italiano e americano, intitolata per l’appunto “La stessa storia”.

 

A quel tempo, parlo di un più ampio arco storico, venivamo da una tradizione in cui aleggiava nell’immaginario collettivo la figura di Garibaldi, personaggio venerato in tutto il mondo per le imprese impossibili che riusciva a compiere, proprio perché rappresentava la vittoria, lo stesso carisma che ereditò Che Guevara.

 

Avevamo una specie di “movimento” di cosiddetti folli che si aggiravano in tutto il mondo di cui noi conosciamo i personaggi più illustri, Carlo Pisacane, Mazzini ecc., ma che di mediocri e di infimi l’occidente era pieno e chi voleva nelle locande di allora trovavano senza grosse difficoltà manovalanza a buon mercato, proprio come furono raccattate anche le prime bande di mafiosi.

 

Questi individui pescavano sulla ricaduta negativa dei regimi monarchici in difficoltà, nelle sorgenti nazioni anticlericali e antimonarchiche, nel crescente progresso urbano e nel frustrante isolamento contadino, nell’emigrazione fra continenti, nonché nella faccia oscura della rivoluzione industriale, fenomeni sociali che creavano sommovimenti  che lasciavano senza controllo larghe fasce popolari, che a loro volta erano viste come il potenziale piedistallo che ciascun mitomane sperava di avere per sé.

 

Una voglia rivoluzionaria e di potere che nelle università di filosofia sfociava in incandescenti dibattiti e che ha dato fortuna anche a qualche “folle” che ebbe successo perché il suo professore, forse sentendosi in colpa del suo indottrinamento, lo tenne in considerazione sino a mantenerlo anche se la vita che svolgeva era scellerata. Parlo, ironicamente, del poeta Karl Heinrich Marx (autore di un "BuchderLieder" Libro dei canti e di due "BücherderLiebe" Libri dell'amore ) che ebbe l’impeto di scrivere Il Capitale e del suo, per questo pietoso, professore Friedrich Engels, che gli sponsorizzò un tour europeo e non solo, giunse anche a rifondergli i debiti di gioco e di alcool nella sua ultima tappa a Londra.

 

Vale la pena, poi, considerare che la rivoluzione russa rischiò di essere fatta senza Lenin il quale stava in Svizzera, ma che Hindenburg e Ludendorff fecero viaggiare con un treno speciale che lo scaricò a Pietroburgo il 16 aprile 1917 alla stazione Finlandia, per inocularlo come virus letale alla monarchia zarista già in crisi. (Il paragone è di Winston Churchill).

 

Teatri di guerra. Governi europei suicidi. Forse ieri come oggi.

 

Teatri di Guerra

In ARS Art Gallery Arion Montecitorio Roma

a cura di Roberta Giulieni

dal 30 Giugno 2015 al 3 Ottobre 2015

 

 


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