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23/11/24 ore

Artemisia Gentileschi e il suo tempo


  • Giovanni Lauricella

Non c’è miglior esempio al mondo che descriva il processo di emancipazione sociale della donna nel lontano ‘600 del dramma consumatosi nella persona di Artemisia Gentileschi. La mostra in corso a palazzo Braschi tenta di restituire tutta l’importanza che ebbe questa emblematica storia di donna, riconducendola anche al suo mondo artistico, formato dai numerosi pittori con i quali ebbe fecondi e costruttivi rapporti professionali e con i quali condivise il lavoro.

 

Comunemente la conosciamo come la pittrice che venne violentata, una vulgata che la ridimensiona a vittima di un ignobile gesto e basta, mentre quello che invece bisogna ricordare di lei è che, nonostante le spinose difficoltà che sappiamo, riuscì ad essere una figura di riferimento del mondo artistico di quel tempo e non solo in Italia. Se ci pensate bene il suo è il personaggio contrario alla moderna mitica narrativa che promuove eroine quelle che sguazzano nel male ricevuto.

 

Qui invece  si tratta di un personaggio che non solo vuole riscattarsi ma anche cancellare lo stereotipo di figura femminile vittima di violenze subite per rivendicare con orgoglio di essere persona, e dignitosa appunto in quanto persona senza concessioni patetiche, con in più il fatto che ebbe la forza di imporsi come grande artista, nel senso sia di abilità tecnica  come in quello più esteso del termine, in un ambiente pesantemente condizionato da maldicenze e pregiudizi, che facilmente precludevano ogni speranza di ambizione femminile.

 

Più che interpretarla come di solito si fa, cioè come una proto - femminista in un periodo storico ancora lontano da quello che nell’epoca moderna divenne il movimento politico per la rivendicazione dei diritti delle donne, bisognerebbe ricordarla come una donna di grande personalità e di grande coraggio, una donna artista che, nonostante le sue notevoli doti, ha sofferto una dolorosa solitudine, essendo rimasta orfana in tenera età della madre e avendo perso il padre di cui era andata in soccorso per le caduche condizioni fisiche nelle quali si trovava, morirà quattordici anni dopo. Questa fu la conclusione esistenziale di una donna che, pur avendo avuto tanti uomini, ha avuto nella figura del padre, illustre pittore e maestro, quella di maggiore condivisione di vita.

 

 

Già da giovane la bella Artemisia si manifestò pittrice di gran talento, e la fortuna di imparare dal padre e di frequentare la sua bottega le dette un indubbio vantaggio, ma questo fattore viceversa implicava un rapporto morboso con il padre, che le dava una funzione da moglie perché faceva coppia con lei nelle relazioni pubbliche: un ruolo ambiguo, che lei superò solo dopo il matrimonio, “riparatore” per lo stupro subito da Agostino Tassi, organizzato con un altro pittore meno importante (Stiattesi)  e il successivo trasferimento a Firenze dove imparò a scrivere, cantare e suonare il liuto.

 

Fu proprio nella città toscana che la giovane pittrice riuscì a dare il meglio di se stessa e a mettere una pietra sopra al passato, infatti aveva appena superato un umiliante processo che, nonostante vedesse imputato  Agostino Tassi, la costrinse a subire vergognose verifiche corporee e verdetti pubblici sulla sua condizione sessuale nonché la tortura; non a caso andò via da Roma prendendo il cognome di Lomi che poi era quello di famiglia,  proprio perché chiamarsi Gentileschi voleva dire qualificarsi come la figlia stuprata del famoso pittore.  (Il padre usava chiamarsi Gentileschi per distinguersi dal fratello Aurelio Lomi, anche lui pittore).

 

Da quel triste episodio Artemisia seppe sviluppare un linguaggio pittorico unico nel suo genere: nei suoi quadri figuravano infatti come soggetti principali donne che in qualche modo  le assomigliavano, brune, forti e statuarie, sovente rappresentate nell’azione di avversione psicologica o manifestamente violenta verso un uomo. L’eroina quindi non era più la donna remissiva o vittima, ma la donna che prende in mano la propria vita con un’azione eroica, o più drammaticamente quella della persona offesa che si vendica sino ad uccidere, insomma tutti i ruoli che prima di allora vedevamo interpretare solo dall’uomo.

 

Il caravaggismo che accomuna Artemisia al padre (ricordiamo che Caravaggio usufruiva del materiale dello studio di Orazio, il quale fu coinvolto persino nel processo che l’artista rivale Giovanni Baglione fece al Caravaggio medesimo)  ridava centralità ai precedenti personaggi della pittura colta presi dal mito classico, una cultura di alto profilo che era il contesto degli artisti che formavano la cerchia delle sue frequentazioni.

 

Lo stesso Orazio Gentileschi e Giovanni Baglione, Guido Cagnacci, Simon Vouet, Cristofano Allori, Jusepe de Ribera, Francesco Guarino, Massimo Stanzione sono gli artisti del suo tempo alcuni di loro anche amici che possiamo ammirare nella mostra offrendo un confronto che fa comprendere la bravura di Artemisia, di questi, per brevità, ne cito solo alcuni che mi sembrano i più emblematici.

 

 

Susanna con i vecchioni dipinto a diciassette anni oltre a rivelare le sue precoci doti artistiche (diciassette anni) mette in evidenza l’anomalo desiderio verso la donna, quadro che ripeterà pochi anni prima di morire in uno schema figurativo dove la morbosità maschile è più esplicita. Giuditta che decapita Olofene (1612-1613) è un po’ l’icona “manifesto” delle femministe;  vi è esplicito il riferimento all’ esecrazione dello stupro subito. Qui la teatralità caravaggesca viene superata con una abbondante rappresentazione del sangue che spilla, sotto una luce gelida ed impietosa, quasi ad anticipare le rappresentazioni cinematografiche di Quentin Tarantino, noto regista americano di film splatter.

 

Giaele e Sisara (1620) ritrae l’azione horror di sfondamento del cranio, mentre altre tele: Danae, L’allegoria dell’inclinazione, Giuditta con la sua ancella,ecc. inneggiano a quanto la donna fosse  bramata ovvero mettono al centro gli aspetti contraddittori del rapporto uomo donna in cui non mancano gli autoritratti.

 

Per I richiami a quella che è la più crudele realtà femminile sono i temi che la renderanno famosa ma ricordiamoci che era anche una delle migliori ritrattiste del tempo e che seppe comporre pochi ma validi quadri religiosi. Una vita svolta prevalentemente tra Roma, Firenze, Venezia, Londra e Napoli e una fama internazionale che pochi artisti riuscirono ad avere: questa fu la vendetta di Artemisia, la sua durevole vittoria.

 

Interessante è anche la provenienza dei quadri, solo per citarne alcuni: la Giuditta che taglia la testa a Oloferne del Museo di Capodimonte, Ester e Assuero del Metropolitan Museum di New York, l’Autoritratto come suonatrice di liuto del Wadsworth Atheneum di Hartford Connecticut, la Giuditta di Cristofano Allori della Galleria Palatina di Palazzo Pitti a Firenze o la Lucrezia di Simon Vouet del Národní galerie v Praze di Praga ecc.

 

 

Per quanto riguarda il mito o di quello che oggi possono personificare artiste donne, proprio in questi giorni abbiamo Giosetta Fioroni (Roma 1932), attraverso l’evento (fino al 10 gennaio 2017) alla galleria Muciaccia  e Joan Jonas (New York 1936) in Minds on Their Own alla galleria Alessandra Bonomo fino al 27 Febbraio 2017 a Roma.

 

Due importanti esponenti dell’arte contemporanea, battagliera come un’antesignana deve essere é la newyorkese Jonas che è stata una tra le prime ad utilizzare video e performance, come pure Giosetta Fioroni lo era altrettanto a Roma tra il gruppo della Scuola di piazza del Popolo e il suo enorme giro artistico internazionale tipico della Roma anni ’60 e di quello letterario. Due artiste che per quanto diverse danno la dimensione di quanto sono del loro tempo e quanto, forse, hanno ereditato dal il mito di Artemisia Gentileschi ma con un tempo storico difficilmente paragonabile.

 

Noi tutti abbiamo una visione mitica del ‘400 fino al ‘600 italiano ma ci dimentichiamo l’Italia divisa in piccoli regni e le innumerevoli congiure di corte di cui i Medici erano solo dei sopravvissuti (Congiura dei Pazzi, 26 aprile 1478), dei banditi che spadroneggiavano appena fuori dalle mura di cinta urbane o dei capitani di ventura che li assoldavano, la lacerante guerra nel cristianesimo (il sacco di Roma 1527 dei lanzichenecchi), pestilenze che si susseguivano a ripetizione e anche se non c’erano le automobili che inquinavano i vulcani erano più attivi e l’eruzione del Vesuvio del 1631, fenomeni naturali a cui  seguiva l’oscuramento del cielo con cambiamento del clima in quello gelido e la distruzione per  anni dei raccolti con le conseguenti carestie ed epidemie di cui siamo poco informati anche se ci ricordiamo che fu l’occasione di una commessa per Artemisia.

 

 

Questo per dire che Artemisia Gentileschi e il suo tempo pur nella sua sensazionale importanza avrebbe avuto più efficacia con delle informazione storico politiche circostanziate proprio per dare un aderenza più realista con il tempo.

 

Mostra ideata da Nicola Spinosa che ha curato la sezione napoletana, da Francesca Baldassari per la sezione fiorentina, e da JudithMann per la sezione romana ed è accompagnata da un catalogo edito da Skira.

 

 

Artemisia Gentileschi e il suo tempo

Dal 30 novembre 2016 al 7 maggio 2017
Museo di Roma a Palazzo Braschi
Piazza San Pantaleo, 10 – Roma

 

Giosetta Fioroni (Roma 1932)

Attraverso l’evento (fino al 10 gennaio 2017) alla galleria Muciaccia

 

 Joan Jonas (New York 1936)

Minds on Their Own alla galleria Alessandra Bonomo fino al 27 Febbraio 2017 a Roma

 

 


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