Ieri a Rebibbia il cielo è entrato in una stanza. O, meglio, in un teatro, quello della Casa Circondariale più grande d'Europa. A portarlo al di là di muri e cancelli dell'istituto penitenziario è stata la musica di un concerto in bilico tra tradizione popolare romanesca, punk jazz e folk-country-blues, pensato per abbattere quelle infrangibili barriere carcerarie che allontanano i reclusi dal mondo, già sbrecciate dalla lavorazione del film "Cesare Deve Morire", girato proprio in quel Teatro.
L'evento, organizzato dal Traffic Live, locale famoso a Roma per i suoi concerti dal vivo, è solo il primo di una serie di appuntamenti che verranno organizzati all'interno del carcere di Rebibbia.
Sul palco, in un'atmosfera amichevole e decisamente blues, si sono avvicendati i The Clockers e gli Ardecore , due gruppi romani talentuosi che hanno portato dentro i cancelli di Rebibbia quella che l'ispettore capo Giannelli ha definito "la sensibilità delle persone esterne, che ci permette di avere una maggiore forza all'interno del carcere".
The Clockers hanno condotto il Teatro attraverso classiche atmosfere blues stelle e striscie, la musica della sofferenza per antonomasia, conducendo il pubblico in una soffice e fumosa atmosfera di profonda umanità, scandita nota per nota sulle corde di due chitarre che ricevono applausi ancor prima di smettere di suonare il primo pezzo: "applaudite per la voglia di essere vivi" è stato chiesto al pubblico di Rebibbia, impaziente di ascoltare e di partecipare, attento, religiosamente attratto da una melodia che nel 1990 persino il grande BB King portò dentro i cancelli di un carcere, San. Quentin, registrandone un disco live sulla falsariga anche del leggendario Johnny Cash, che pubblicò nel 1969 l'esibizione At San Quentin.
A salire sul palco sono stati, poi, gli Ardecore che, grazie ad uno stile folk-rock romanesco, ha incarnato in musica una vera e propria rivisitazione dell'immaginario pasoliniano, portando in scena, con “Tango Romano”, anche i testi del grande Ettore Petrolini, e cantando le gesta, le sventure e le vicissitudini degli "ultimi": i carcerati, i minatori cantati da Milva in “Miniera”, la parricida Beatrice Cenci, decapitata nel 1599 per aver partecipato all'omicidio del padre che l'aveva molestata per anni. Un suono più graffiante, più rock, che ha letteralmente eccitato i detenuti presenti in sala, vivaci, plaudenti: un vero pubblico rock 'n roll.
Al posto della security c'erano però i secondini, al posto delle groupie vi erano i reclusi smaniosi di ascoltare la libertà della musica, la fragile eterea libertà che viene loro negata all'interno di una realtà profondamente difficile, dove le ore sembrano giorni, i giorni settimane e le settimane anni.
Una libertà che però prende corpo anche nelle battute, nello spirito che questi detenuti cercando di mantenere alto, anche e soprattutto in una fase della loro vita profondamente complicata; all'accordatura, in una sala buia, il frontman Giampaolo Felici, del gruppo Ardecore, ha chiesto scusa al pubblico, auspicando scherzosamente che nessuno se ne andasse. "Aò, ma magari che me n'ero annato! Ma mica pè te eh..." è stata la voce dal fondo che ci ha letteralmente fatto esplodere in una risata carica di libertà.
Silvia Soligon e Andrea Spinelli Barrile