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23/12/24 ore

“Dark Vanilla Jungle”



“Io non ho ucciso il mio bambino”. Ma dal non amore è difficile, seppur non impossibile, che nasca amore. Lo sa bene Andrea, protagonista del londinese “Dark Vanilla Jungle” di Philip Ridley, adattato da Carlo Emilio Lerici e sapientemente interpretato da Monica Belardinelli, andato in scena al Teatro dell’Orologio di Roma dal 26 aprile all’8 maggio scorso.

 

Il suo è un viaggio implacabile negli abissi della mente, nei labirinti scaltri della memoria, alla ricerca di ricordi manipolati dal dolore e pronti da utilizzare, all’occorrenza. Sì, perché dal rifiuto emerge proprio questo: il bisogno viscerale di essere voluti, non importa a che prezzo, cullato da una sotterranea sensazione di non meritare nulla. E nella mancanza ci si può ritrovare a dare spazio alla violenza. A quella subìta, a quella inflitta. Il pericolo diviene allora un elemento confuso e a tratti seducente, perché avere quindici anni ed essere sola infonde un’inconsapevole e tragica quantità di incoscienza mascherata da coraggio, sfrontatezza, persino ingenua determinazione.

 

E così Andrea, cresciuta con un padre in prigione ed una madre capace di lasciarla ancora bambina alle cure di una nonna che si fa chiamare “signora”, è in balia del proprio sguardo distorto, della propria errata percezione dei rapporti e del mondo. A nulla servono gli evidenti indizi delle circostanze che la portano tra le braccia di un uomo che la illude, la sfrutta, la usa nel più terribile dei modi. Non ad evitare la sofferenza, e neppure a sfuggire al destino.

 

“Si può trasfigurare una vita che ci fa soffrire?”. Andrea ci riesce, trasforma la sua condizione di vittima e si vendica su un soldato infermo sostenuta da una buona e necessaria dose di follia. Ma non è abbastanza. Perché nulla può bastare a colmare ciò che del vuoto stesso si nutre. La strega ha sacrificato il figlio nella foresta, hanno detto i giornali. Radici, alberi. Si farà una culla di foglie. “Io non ho ucciso il mio bambino”.

 

Regina Picozzi

 

 


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