di Giulia Anzani
In un piovoso sabato sera di metà novembre, l’iniziativa di Musei in Musica su territorio romano incoraggia anche i più pigri a lasciare divano e copertina per andare a godere di arte, nelle varie declinazioni.
Ci sono concerti jazz e di musica classica, mostre con biglietto d’ingresso in sconto… e c’è la compagnia teatrale NoGravity con l’esperimento chiamato Lucio Fontana Studio.
Nell’Auditorium dell’Ara Pacis, nel centro di Roma, l’incredibile Mariana Porceddu (qui il link alla sua intervista) si è esibita insieme al suo compagno di vita e di arte, il maestro Emiliano Pellisari, in un’analisi dell’arte di Lucio Fontana.
Provando sempre lo stesso stupore di quando mi ritrovai davanti alla messa in scena di Inferno e successivamente all’anteprima di Exodus, questa sera ammiro incantata le acrobazie che Mariana è capace di fare e la magia che Pellisari è in grado di creare.
Grazie allo specchio posto perpendicolarmente rispetto al palco, il pubblico ha avuto accesso ad una doppia prospettiva della scena e ad una doppia suggestione. La musica e la voce del Soprano d’Arte Silvia Colombini, accompagna puntualmente ogni azione su palco.
Racconta ciò che accade con strumenti di vario genere tra cui quello che, la stessa Colombini, mi spiegherà il violino operato il quale “ha dei campanelli metallici che gli donano una particolare vibrazione che ricorda l’interferenza di una radio o di un televisore”.
Nel primo momento dello spettacolo Mariana, nuda, si lascia andare a Emiliano affidandosi alla sua presa, in un groviglio di braccia, gambe e teli. Si muove sotto e intorno ai teli bianchi ma dipinti dalla luce blu, alla ricerca di risposte tramite il linguaggio del corpo, potente e deciso.
Nel secondo momento, tutto è tinto di rosso. Mariana indossa una tuta bianca e aderente e si muove beata tra i teli. La voce e gli strumenti usati dalla Colombini, scandiscono il tempo. Tutto ciò a cui si può pensare è la leggerezza del corpo di Mariana che il maestro Pellisari, come uno scultore, modella nei movimenti. È come un continuo risveglio, suo e del pubblico attento, che non perde un movimento, un respiro, un passo. I delicati gesti di apertura, si contrappongono ai repentini gesti di chiusura.
Silvia Colombini, a fine spettacolo, mi racconta qualcosa in più su questo esperimento a cui ha partecipato con piacere: “Ho scelto di tradurre una frase con cui Fontana definiva i suoi tagli: “Da qui passa la luce, da qui passa l’infinito”, diceva e io l’ho tradotta in spagnolo. Canto questa frase in spagnolo per onorare le sue origini argentine. Ho sempre immaginato che lui pensasse in spagnolo”. Poi mi spiega da cosa deriva una delle frasi che canta nel corso dello spettacolo “Credo che bisogna cambiare la caldaia”.
Colombini mi illustra come “questo congiuntivo errato tradisce le sue origini argentine. È una frase che scrisse dietro una delle sue tele, dietro uno dei suoi tagli. Lui autenticava i suoi quadri con queste frasi assurde e ironiche, come a voler fare una perizia calligrafica. Era un uomo estremamente ironico, infatti ad un certo punto ho emesso un contemporaneo melisma a forma di risata”.
Stupefatta da ciò che ho guardato e ascoltato, lascio il teatro pensando e ripensando a quanto studio c’è dietro l’arte e a quanto sia complesso il lavoro creativo, ma di quanto possa svoltare il senso di un piovoso sabato sera di novembre.
“Il compito dell’arte nei valori sociali, morali e spirituali è nullo. L’artista interviene nella società a mantenere viva la ragione di essere uomo”.
— Lucio Fontana
- La compagnia di arti performative NoGravity sabato 19 novembre all’Ara Pacis: “Lucio Fontana Studio” di Emiliano Pellisari e Mariana Porceddu di Giulia Anzani