Ieri la Corte di Cassazione ha emesso una sentenza che in molti non hanno esitato a definire "storica": rigettando il ricorso di parte civile contro una sentenza emessa nel giugno 2011 dal gup di Avellino, la suprema Corte ha sancito essere "penalmente irrilevante" il consumo di gruppo di sostanze stupefacenti "sia nell'ipotesi di mandato d'acquisto che in quella di acquisto comune".
Da oggi quindi, o meglio da ieri, sarà quindi possibile fumarsi gran canne con gli amici, come una volta quando il consumo di gruppo non veniva perseguito? Niente di più lontano dalla realtà.
Occorre innanzitutto specificare una cosa fondamentale: in Italia non è la Cassazione a fare le leggi, ma il Parlamento; il nostro Paese fa infatti parte di quella famiglia dei paesi di "civil law", in cui il legislatore fa le leggi ed i giudici si attengono ad applicarle, contrariamente a quei paesi di "common law", tipicamente anglosassoni, in cui è la giurisprudenza a creare il diritto e non il Parlamento.
Anche se le sentenze della Corte di Cassazione, che non fanno legge, hanno assunto un ruolo sempre più importante nell'interpretazione delle leggi stesse, ciò non toglie che se un carabiniere sorprende un gruppo di amici intenti a confezionare lunghi spinelli, questi non può fare altro che sequestrare il corpo del reato, redigere un verbale, denunciarci e, se proprio tutto va male, tradurli in caserma.
Solo in un eventuale processo penale si entrerà nel merito della succitata sentenza della Cassazione, venendo forse assolti, forse no: certamente il gioco continua a non valere la candela (fatta, tra l'altro, anche di parcelle da pagare per il malcapitato).
Ed è qui il problema: nella libertà dell'individuo, che continua a mancare completamente in una norma ("la criminogena legge Fini-Giovanardi sulle droghe", come definita da Marco Pannella) nata nel 2006 già in evidente conflitto giurisprudenziale: la Cassazione infatti si era pronunciata più volte in passato sull'irrilevanza penale del consumo di gruppo, ma la legge 46/2006 non è nata da analisi sulla questione droga ma da ideologie repressive che altro non hanno fatto che intasare le carceri di consumatori e tossicodipendenti.
La sentenza di ieri è importante perché sconfessa, in parte, la crudezza repressiva di quella normativa, sottolineando tra le righe anche l'importante componente di autodeterminazione dell'individuo.
Se gli esultanti si rendesso conto di questo forse esulterebbero meno. Il pronunciamento degli Ermellini è l'equivalente del bicarbonato quando si mangia troppo: non evita di star male nuovamente in futuro. Se così fosse, visti i cinque milioni di consumatori di cannabis in Italia, vedremmo i balconi pieni di piante perchè un'altra recente sentenza della Cassazione afferma che la coltivazione di una pianta di cannabis sul terrazzo non sia "idonea a porre in pericolo il bene della salute pubblica o della sicurezza pubblica" ma, se ve la trovano, a Regina Coeli almeno due notti ci si finisce lo stesso.
C'è inoltre un'altra questione da sollevare in merito all'importante sentenza di ieri: il consumo personale, sul quale la Cassazione non si è pronunciata, continua ad essere considerato un reato penale. Eppure, ed è qui l'ennesima contraddizione della Fini-Giovanardi, il consumo di gruppo di droga non evita che ci sia anche quello personale, anzi lo implica inevitabilmente.
Le condizioni delle carceri, i pronunciamenti della Corte di Cassazione, la coscienza civile e le evidenze scientifiche impogono oggi un deciso cambio di rotta in materia di droghe, eppure nei programmi elettorali tutto tace, lasciando sempre questa domanda nella testa: chissà che cosa succederà?
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