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02/05/24 ore

Libertà religiosa, crescendo di persecuzioni nel mondo e disuguaglianza in UE



Cresce il movimento anti-islamico noto come 969 in Birmania, minacciando non solo la minoranza Rohingya ma la transizione democratica stessa del paese. 43 morti solo il mese scorso, nel nucleo musulmano: il numero spiega la difficoltà della sfida che il Presidente Thein Sein dovrà affrontare nel tentativo di dare stabilità al paese. “Come possiamo vivere in una società buddista? Perché siamo così disgraziati che i nostri uomini e donne, bambini e studenti debbano essere uccisi brutalmente?”, si chiede Nyunt Maung Shein, presidente dell’Islamic Affair Council nazionale.

 

Tra i leader del movimento 969, il monaco Wiseitta Biwuntha, meglio noto come il Venerabile Wirathu, che descrive se stesso come “il Bin Laden birmano”. Arrestato nel 2003 per l’istigazione delle rivolte anti-islamiche, è stato liberato l’anno scorso insieme a un centinaio di prigionieri politici e ora affronta a viso aperto il “nemico” islamico, senza freni da parte delle autorità. In costante aumento i manifesti, nella città, che istigano all’odio e danno la minoranza al 20 percento, mentre in realtà si aggira intorno al 4.

 

I Rohingya sono, secondo le Nazioni Unite, tra i popoli più perseguitati di un mondo che non sembra imparare dalle esperienze. Fa discutere la sentenza, in Germania, del ragazzo che dovrà seguire lezioni sull’antisemitismo in seguito alle sue lodi dell’Olocausto. Lo studente si era dichiaratolieto di ciò che Hitler ha fatto agli ebrei”, e la sentenza è decisamente troppo morbida secondo la comunità ebraica tedesca. Il CIDI (Center for Information and Documentation on Israel) ha commentato seccamente che “lo studente ha già una evidente conoscenza dell’Olocausto”.

 

Il CIDI ritiene inoltre che un atteggiamento così morbido crei “inaccettabili precedenti”. Il quindicenne, il cui nome non è stato reso pubblico, aveva affermato in un’intervista di “odiare gli ebrei”. L’eccessiva morbidezza nei confronti dell’antisemitismo non sembra preoccupare unicamente la Germania, se si pensa alle recenti polemiche che hanno coinvolto il Movimento a 5 Stelle, benché gli insulti si rintraccino nei commenti sul blog e non nelle posizioni ufficiali del Movimento, che pure ha destato preoccupazione a seguito delle frasi sul fascismo pronunciate dalla capogruppo alla Camera.

 

In un quadro internazionale di crescente preoccupazione per la libertà di religione, assume particolare importanza la decisione di assegnare il Templeton Prize, il cosiddetto “Nobel religioso”, di quest’anno all’Arcivescovo Emerito Desmond Tutu, noto per la sua lotta contro l’apartheid in Sudafrica. Premiato “per aver dedicato la sua vita al progresso di principi spirituali come l’amore e il perdono che ha aiutato a liberare popoli in tutto il mondo”, Tutu siede ora al fianco di leader spirituali come il Dalai Lama o Madre Teresa di Calcutta, ma anche di filosofi, biologi, astrofisici e vari scienziati.

 

Il Templeton Prize, infatti, non considera affatto ineluttabile un conflitto tra scienza e religione, ritenendole piuttosto complementari. Accade così che Tutu condivida il premio con un connazionale come il cosmologo George Ellis, onorato nel 2004, i cui scritti furono condannati dal governo dell’apartheid. Una lezione utile al dibattito sulla libertà di ricerca scientifica, segnato dagli scontri tra mondo laico e religioso. La questione riguarda anche le minoranze, se si considera che l’aumento della persecuzione delle stesse in tutto il globo è spesso una conseguenza dell’assenza di pari opportunità e dell’oppressione da parte delle maggioranze.

 

Ne è un esempio la condizione degli Indù in Bangladesh. La comunità bangladese di religione induista residente negli Stati Uniti d’America ha protestato davanti alla Casa Bianca chiedendo protezione al Presidente Obama, con slogan come “Non vogliamo la talebanizzazione del Bangladesh” e “Salvate gli Indù”. Ogni nazione ha le sue minoranze sul territorio e il dovere di tutelarle, ma non può farlo se non ammette che la minaccia per le religioni minoritarie arriva, in primis, dalla condizione di disparità rispetto a quella maggioritaria. Non stupirà quindi vedere i valdesi o gli evangelici, nel nostro paese, chiedere una maggiore laicità dello Stato.

 

È accaduto nel corso della campagna elettorale, come chi scrive ha riportato su questa testata in un precedente articolo. Purtroppo le richieste di Daniele Garrone e di Massimo Aquilante, descritte in quell’articolo, non hanno ricevuto risposte dal mondo della politica, completamente assorbito da un fronte che, benché cominci a prendere in considerazione i diritti civili, come nel caso dei matrimoni gay, sembra sempre più distante dai diritti umani. La Settimana dei Diritti Umani 2013 che la comunità battista ha celebrato attraverso varie manifestazioni, culminate il 4 aprile con l’anniversario della morte di Martin Luther King, ha avuto scarsissimo eco.

 

Se la libertà di religione non è sufficientemente tutelata, sembra esserlo ancor meno la libertà dalla religione. Un problema che riguarda non solo il nostro paese, ma anche l’Europa. In Austria infuria la polemica sui metodi aggressivi della Chiesa Cattolica per arginare la perdita di fedeli. Le misure, che includono l’utilizzo di Internet per trovare informazioni personali sugli ex membri, sono da molti considerate invasive. Non ricevendo contributi tramite il governo, la Chiesa in Austria deve sincerarsi da sé che i propri membri abbiano pagato le tasse e che non abbandonino il gregge, con metodi definiti “inquisitori” da alcuni cattolici.

 

Un dentista, ad esempio, che ha chiesto di restare anonimo, ha raccontato di essere stato contattato da un sacerdote che lo ha cercato su un numero di cellulare noto solo a pochi intimi, e che quando ha chiesto come avesse ottenuto il numero, il prete ha riattaccato. Fanno discutere anche le pressioni sui fuoriusciti: chi decide di lasciare la Chiesa lamenta continue lettere e telefonate in cui gli viene ricordato come non potrà più sposarsi davanti a Dio o battezzare suo figlio. E benché la Chiesa smentisca, crescono le voci secondo cui i nomi dei fuoriusciti vengono letti durante le funzioni.

 

Pressioni sugli ex-membri e pressanti richieste di denaro: le caratteristiche delle “sette”, per l’opinione pubblica italiana, dopo anni di propaganda in cui simili comportamenti sono stati associati ai nuovi movimenti religiosi ed esclusi a priori per la Chiesa Cattolica. In realtà non solo gli abusi psicologici non sono ad esclusivo appannaggio delle “sette” o dei Testimoni di Geova, ma destano preoccupazione i casi sollevati intorno alle presunte “sette”: le motivazioni della sentenza del caso Arkeon, di cui abbiamo atteso i dovuti tempi legali per scrivere, mostrano ancora una volta come la “psicosetta” fosse una bolla mediatica.

 

Tra le motivazioni si legge infatti:  “l’esito di questo giudizio ha sconfessato la sussistenza della principale e più grave delle accuse, costituita dall’essere Arkeon una ‘psicosetta’, ha portato ad escludere la sussistenza di uno stato di incapacità di intendere e volere per i partecipanti a qualsiasi tipo di seminario e di tecniche manipolatorie della mente, nonché di violenze di ogni genere poste in essere nei confronti di minori”.

 

All’interno della vicenda, appare emblematico della grave situazione italiana il caso della dottoressa Di Marzio: dalle motivazioni emerge come fu impedito alla studiosa, che si era interessata al gruppo per fini di ricerca, di “realizzare il suo studio per il Cesnur poiché il suo sito era stato sequestrato ed aveva ricevuto un’informazione di garanzia, in cui la si accusava di far parte della ‘setta’ Arkeon e di essere un nuovo ‘guru’ di questo gruppo. Il procedimento penale a suo carico, ad aprile 2011, si era però concluso con un’archiviazione per infondatezza della notizia di reato”. La Di Marzio vede per la prima volta sancito da un tribunale ciò che denuncia da anni, ovvero i continui ostacoli alle sue ricerche sui gruppi religiosi da parte di gruppi anti-sette che l’hanno accusata di difendere le “sette” per via del suo atteggiamento imparziale.

 

La persecuzione delle minoranze religiose, che avviene in piazza con scontri violenti in Birmania, si verifica da noi tra le procure e i programmi televisivi. Una forma di violenza, a partire dal rapimento Pesce degli anni Ottanta e dal successivo caso Dimitri, continuata fino ad oggi con la sistematica incarcerazione di quelli che il tribunale assolverà da ogni accusa riconducibile all’attività di “setta”. Un termine che oggi si usa più per colpire movimenti religiosi che per combattere i crimini in ambito religioso, tanto che non è mai stata condannata nessuna “setta” in quanto tale nella storia d’Italia.

 

Non a caso, nell’unica emergenza criminale connessa alla religione nel nostro paese, la cui gravità è stata dimostrata dai tribunali non solo italiani, ma anche di altre nazioni, quella della pedofilia nel clero cattolico, non si è mai parlato di “sette” e di “culti abusanti” neanche davanti all’evidenza degli abusi e degli insabbiamenti. Né è stata coinvolta la Squadra Anti-Sette, che esiste ormai da quasi otto anni, o i movimenti anti-sette che si occupano di abusi psicologici, neppure di fronte all’ennesimo arresto a Novara nella parrocchia di Omegna. Eppure è contro i “culti abusanti” che agisce la Polizia di Stato con l’apposito Dipartimento – come rilevato dalla preoccupata interrogazione dell’ex sen. radicale Marco Perduca e da quelle che lo hanno preceduto (Pastore, Binetti) – che ha come referente principale proprio un prete che fu indagato nel 2003 per pedofilia, accusa poi archiviata.

 

Tale evidente squilibrio e assenza di pari opportunità fra non credenti, cattolici e appartenenti ad altre confessioni nel nostro paese è dovuto anche all’assenza di un quadro legislativo adeguato, se si pensa al fatto che alcune leggi antecedenti la Costituzione sono ancora in vigore e all’assenza di un registro delle confessioni, regolate nel nostro paese da singole intese insufficienti a tutelare il vasto quadro religioso figlio della globalizzazione e del multiculturalismo. L’impatto crescente del panico morale intorno ai culti minoritari in Italia rientra d’altro canto nel quadro internazionale di aumento della persecuzione delle minoranze religiose e nella disuguaglianza sempre più palese in Europa.

 

La costituzione di un Osservatorio europeo, come indicato dal Consiglio d’Europa nella Raccomandazione 1178/92 e ribadito nella relazione al “Comitato per gli Affari Legali e i Diritti Umani”, in cui l’Assemblea invitava gli Stati membri a evitare il termine “sette” e a distinguere in maniera discutibile e arbitraria le sette dalle religioni, è sempre più necessaria sia perché l’Europa possa contrapporsi in maniera netta alle persecuzioni che segnano lo scenario internazionale, sia per arginare le disuguaglianze che rendono difficile la tutela dei diritti umani e delle pari opportunità negli Stati membri.

 

 


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