«Ieri a Magliana, davanti ai miei occhi, di fronte ai cassonetti stracolmi c’erano Rom che frugavano fra la spazzatura con i carrelli del supermercato, e salivano sulla pista ciclabile verso un accampamento sulle sponde del fiume Tevere. Roma dimostrerà, e oggi in una lunga riunione di oltre un’ora con il questore Massimo Mazza abbiamo parlato anche di questo, di essere una città che accoglie ma che non accetta il disprezzo delle regole. Pertanto bonificheremo le aree del lungotevere, le piste ciclabili e allontaneremo dagli impianti abusivi i Rom».
Questa la sconcertante dichiarazione del sindaco di Roma, Ignazio Marino, che uscendo per una volta dai confini del centro storico si arrabbia per una realtà che si rifiuta di risolvere. I cattivi propositi per l’anno nuovo sono chiari: altri sgomberi dissennati, volti solo a calpestare i diritti umani e a tranquillizzare i cittadini perbene che non ci saranno sporchi zingari a frugare nell’immondizia davanti ai loro appartamenti, per non diminuirne il valore immobiliare.
Non solo la politica degli sgomberi ha mostrato l’assoluta continuità tra Alemanno e Marino in tema di politiche sociali, ma lo ha ribadito anche la recente gestione del caso del campo nomadi di via della Cesarina, da cui le famiglie, disperate per le anguste condizioni abitative e per i ripetuti episodi vessatori subiti, sono state spostate come pacchi al centro d’accoglienza di via Visso. Lì, hanno scoperto spazi ancora più stretti e una segregazione maggiore, come hanno scritto alla Corte di Strasburgo forse anche per sottolineare quanto ironicamente beffarde suonino le rassicurazioni all’Europa dell’assessore Rita Cutini, che rispondeva ai rilievi del commissario Muižnieks sottolineando la volontà e i passi intrapresi dall’amministrazione verso una piena attuazione delle indicazioni contenute nella Strategia d’Inclusione Nazionale.
Un resoconto lunare, stilato probabilmente nella speranza che, casomai il commissario venisse davvero a controllare, si potrebbe sempre inscenare di nuovo il vergognoso carosello che ha accolto il Ministro Kyenge al campo di via dei Gordiani poco più di un mese fa. Un immenso spiegamento di forze, con Rom mai visti prima nel campo che raccontavano le loro splendide condizioni di vita, la cooperativa sociale soddisfatta e l’assessore Cutini sorridente davanti alle macchine fotografiche. Due uomini alti, alle sue spalle, nascondevano uno dei container più malmessi, entrambi immobili come in una vecchia comica per non far vedere al Ministro la porta sfondata dal 2010. E così, mentre la Cutini fa il poliziotto buono, ci pensa Marino ad ammonire i disgraziati che non hanno abbastanza soldi per fare la spesa e rovistano nei cassonetti: guai a voi, il Comune vi guarda, e non certo per tutelarvi!
Del resto, la bravura della Cutini nell’organizzare spot televisivi sceneggiati con ritmo e fantasia ci è nota da quando abbiamo sollevato, nello scorso mese di agosto, la vicenda delle famiglie Rom fuggite da Castel Romano e rifugiate a via Salviati. I pochi Rom che hanno acconsentito a lasciare l’insediamento abusivo, farsi la foto con la Cutini e tornarsene nel lager sulla via Pontina, erano in tutto una decina di persone, per la verità, sebbene la televisione e il comunicato stampa diffuso dall’assessorato ce ne raccontassero un centinaio, filmandoli più volte mentre salivano sui pullman per il trasferimento.
Ora quei pochi stanno maledicendo la loro scelta, mentre alloggiano privi di docce e acqua corrente, provvisti unicamente di bagni chimici divelti durante la notte nell’arco delle violenze quotidiane che denunciavano quando erano scappati. Dure notti, quelle delle famiglie “rassicurate” da Rita Cutini, rintanate nelle roulotte e colpite da sassi e bottiglie che spaccano i vetri: la vigilanza promessa dal Comune è durata solo per qualche giorno. Non ci si può nemmeno lavare, lontano da tutto e da tutti, a quasi venticinque chilometri dal centro abitato.
Nel frattempo, vale la pena ricostruire che fine ha fatto il resto della comunità di via Salviati. Ricordiamo che la lettera aperta a prima firma Moni Ovadia e l’appello per l’inclusione del portavoce Dragan Trajkovic, diffuso dall’Associazione 21 Luglio, hanno ricevuto come risposta la violenza di uno sgombero punitivo che ha stupito ONG come Amnesty International. Dopo che il secondo appello di Ovadia con Manconi e Lerner è caduto nel vuoto insieme al nostro sciopero della fame congiunto con la comunità, questa ha pensato bene di non fidarsi dell’assessorato e, anziché tornare a Castel Romano, si è accampata dall’altro lato dell’area sgomberata.
Lì ha subìto la brutalità di continui raid da parte della polizia municipale, volti a piegare queste persone già provate dallo sgombero e da lunghe giornate e nottate all’addiaccio con anziani malati e bambini piccoli ed indurle a “togliere le tende” nel senso più letterale della parola. Al termine di questo calvario, la comunità di Dragan si è sparpagliata e alcuni di loro sono stati intercettati dalle associazioni che combattono le politiche abitative comunali attraverso l’occupazione abusiva di edifici. Un risultato pressoché inevitabile, se si considerano le risposte del Comune alle legittime richieste d’inclusione sociale da parte della comunità Rom in questione.
La lettera del bimbo Rom a Torino, che ha commosso l’Italia dicendo che da grande vuole fare il maestro per insegnare ai bambini l’importanza della legalità, simboleggia certo la volontà di un popolo che non si arrende mai nel volersi sentire parte di una società che lo respinge. D’altro canto è emblematico anche della necessità di dare una risposta a questa crescente domanda d’inclusione, soprattutto alle nuove generazioni, che hanno ancora tutta la vita davanti per mutare la loro condizione di partenza.
Ma se a Torino di passi avanti nell’applicazione della strategia redatta dall’UNAR e presentata all’Europa ce ne sono stati, a Roma è l’immobilismo del Comune che non dà via d’uscita a questa comunità: una precisa volontà d’ignorare il problema, tanto che la stessa amministrazione già a settembre era assente quando l’Associazione 21 Luglio e ARCI Solidarietà hanno presentato le loro proposte per il superamento dei campi.
Certo, il centrosinistra eredita una situazione difficile: il bilancio dei soldi spesi dalla giunta precedente per la segregazione organizzata dei Rom (oltre centoventi milioni di euro destinati a rinchiuderli nei cosiddetti “villaggi della solidarietà”, con il solo risultato di portare le comunità all’esasperazione e alla fuga da ghetti al di sotto di ogni standard europeo) è emblematico della politica di Alemanno. Però la proporzione tra le promesse fatte da Marino in campagna elettorale, votato dai cittadini Rom in fila alle primarie e alle urne, e le azioni intraprese, che hanno ottenuto solo di danneggiare la serenità dei bambini e delle famiglie calpestandone i diritti umani fondamentali fino alla reazione oltraggiata della Corte di Strasburgo, è emblematica della politica di Marino. Ed è un fatto che il sindaco, anziché spendere i soldi per applicare la strategia d’inclusione, rispettare la legge e seguire le direttive nazionali e internazionali, continua a buttarne in sgomberi e trasferimenti dissennati, degno erede del suo predecessore.
Ci chiediamo quando accadrà che il Comune di Roma, non sapendo inventare, si decida almeno a copiare dalle politiche di altri comuni, e smetta di ispirarsi a quelle del nazionalsocialismo tedesco, combinate con una gestione dissennata dei fondi pubblici di cui la maxi-truffa dei biglietti clonati dell’Atac e lo scandalo delle mance ai consiglieri comunali, sollevato di recente dal radicale Riccardo Magi, sono purtroppo esempi fra tanti.
Camillo Maffia e Giovanni Carbotti
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