Si dice che la pubblicazione delle “Memorie dalla casa dei morti” da parte di Dostoevskij influenzò la riforma della giustizia voluta dallo Zar Alessandro II; L’Italia di oggi non ha di certo un Dostoevskij e forse non ha neppure uno Zar, ma sicuramente ha un bisogno assoluto ed imprescindibile di riformare la macchina della giustizia.
Abbiamo chiuso da pochi giorni la macabra conta delle vittime del 2013…, quarantanove suicidi in carcere, quarantanove caduti che non hanno saputo o voluto resistere alla tortura, quarantanove nomi inscritti nella coscienza di uno Stato “democratico” che non rispetta le sue leggi. Se in una democrazia le istituzioni agiscono in nome e per conto della popolazione votante, dovremmo prendere coscienza del fatto che siamo tutti degli assassini e che a qualcuno non dispiace poi tanto, data la obiettiva difficoltà nell’affrontare la questione carceraria.
Il nuovo anno è cominciato da una settimana ed ecco che, inesorabile come le lancette dell’orologio, si ripresenta la morte ed il pallottoliere ricomincia il suo luttuoso gioco; due suicidi nei primi sei giorni dell’anno: il primo è un detenuto del carcere di Ivrea, 42 anni, il 3 gennaio si è impiccato alle sbarre della finestra del bagno della sua cella, la corda che ha spezzato il suo dolore e la sua disperazione era una busta dell’immondizia…il mondo non è passato di lì e ha deviato anche sulla instabilità mentale di chi nel carcere del dolore italiano non sarebbe potuto durare, la seconda vittima, un uomo di 52 anni che la sera in cui i bambini di tutta Italia festeggiavano l’arrivo delle calze coi dolciumi e la chiesa festeggiava la manifestazione della nascita del Cristo crollava sotto il peso di una situazione emotivamente insostenibile ed appendeva anche lui, nella sua cella del carcere di Rebibbia, ad una sbarra ed una camicia la speranza che quell’inferno finisse, in un qualunque modo.
Ricordo quando la battaglia per l’amnistia cominciò sono passati anni e sono stati versati ettolitri di sangue e lacrime; lo Stato corporativo non cede e continua, a rodere, come un cancro, il suo tessuto vivente, le persone.
Ma vi siete mai chiesti, al di la dei tanti pregiudizi forcaioli e persecutori che hanno tracciato la storia di questo paese, dal martirio della prima Chiesa, alla Grande Inquisizione, perché qualcuno parla di Amnistia, in che modo questa dovrebbe essere utile e, ancora, se è utile il perché non si fa?
In poche battute ricordiamo che il carcere è solo una punta d’iceberg, la strage di stato in atto è l’estrema conseguenza di una situazione marcita che ha comunque, al suo interno, fortissime resistenze al cambiamento; la macchina della giustizia tutta è autore, vittima e responsabile di questo scempio…solo che la gente continua a morire…forse è il caso di affrontarla questa questione. Da qui vengono poi le sanzioni europee, le sentenze di risarcimento (se può esistere) ed infine il Capo dello Stato che invia un messaggio alle Camere perché si occupino della faccenda … il tutto è ancora lettera morta, morta come chi non resiste alla condizione inumana delle carceri e sceglie un’altra via, l’unica a disposizione.
L’Amnistia…i delinquenti per le strade… torneranno subito dentro… costruiamo nuove carceri… se non cambiamo la legge non serve a nulla…Pensate che, al di la da tutte queste più o meno deprecabili asserzioni, la macchina della legge è ferma. Se voi oggi commettete un reato avete bisogno della raccomandazione pure per farvi processare, ci rendiamo conto che ci sono milioni di procedure processuali pendenti e i tribunali chiudono? La frase più adatta nelle aule di tribunale di questo paese non è “la legge è uguale per tutti”…è “perdete ogni speranza o voi che entrate(se trovate posto)”.
Ecco l’amnistia, il grimaldello che consente di forare le mura di Troia dell’InGiustizia italiana e creare la possibilità che il sistema giudiziario, alleggerito dal peso delle sue storture e delle sue inefficienze possa essere effettivamente riformatoed aspirare ad assolvere al compito per cui è nato, far rispettare i diritti ed i doveri dei cittadini della Repubblica.
Ma siamo in Italia, il paese delle corporazioni per eccellenza, la Storia come l’attualità ci ha dimostrato che non importa quanta gente muore, l’immobilismo delle lobby di potere che come unica ragione di vita hanno la perpetuazione di se stesse è l’unica progettualità esistente…fino a che poteri sovranazionali si occupano delle nostre mancanze.
Lo stesso stato, incapace di affrontare la malattia che lo devasta, sceglierà la via della morte civile? Speriamo di no, e lavoriamo per questo sperando di poter creare le precondizioni perché quel funereo conto finalmente rallenti fino ad arrestarsi.
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