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23/12/24 ore

Arabia Saudita, quello che le donne vogliono



Basta violenza domestica, basta autorizzazioni per studiare, per lavorare, per viaggiare, per vivere. Basta al dominio maschile. E' quanto scrive un gruppo di attiviste al Consiglio della Shura dell'Arabia Saudita tramite una petizione in cui si chiede “l'estensione di tutti i diritti delle donne”.

 

Vogliamo essere considerate cittadini come tutti gli altri” sostengono le 25 firmatarie del documento, tra cui alcune professoresse universitarie, che, approfittando dell'avvicinarsi dell'8 marzo – festa della donna -, hanno espresso “l'intenzione di essere ascoltate” dal Consiglio.

 

Questo, un organismo consultivo che ha il compito di modificare le leggi esistenti e proporne di nuove, “deve mettere in cima alle sue priorità” la questione femminile, impegnandosi a valutare alcuni emendamenti, suggeriti dalle attiviste saudite, “da adottare il prima possibile” affinchè le donne vengano liberate dall'obbligo di avere una “autorizzazione del guardiano maschio” per svolgere normalmente la propria vita.

 

Oltre ai diritti più basilari – come poter completare l'istruzione, poter svolgere una professione o semplicemente varcare i confini della propria città o del proprio Stato, il gruppo di femministe chiede che sia permesso alle donne dichiararsi parte civile nei processi, richiedere l'emissione di carte di identità e documenti senza il consenso dell'uomo, o ancora potersi sottoporre ad interventi chirurgici o trattamenti medici.

 

Tutte restrizioni a cui le donne oggi, nell'ultraconservatore regno wahabita, sono sottoposte a causa di una rigida interpretazione dell'Islam, nonostante, come spiega Aziza Yousef, una delle firmatarie della petizione, i divieti “non siano assolutamente basati sugli insegnamenti religiosi”.

 

Nessuna dottrina, infatti, prevede che la vita della donna debba essere costantemente messa a rischio solo per una questione di 'subordinazione di genere'. Eppure accade, costantemente. Come nel caso di una studentessa, racconta Aziza Yousef, morta di parto in un campus dell'università femminile di Riyadh perchè le autorità avevano impedito l'ingresso ai paramedici in attesa del consenso del marito.


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