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16/11/24 ore

Eva Fischer, per ricordare


  • Elena Lattes

A volte pare quasi che ci siano persone con una predisposizione innata e un destino ben preciso. Eva Fischer sembra essere stata una di queste. Nata a Daruvar, nella ex Jugoslavia nel 1920 da genitori di origine ungherese, fin da piccola dimostrò la sua predisposizione all'arte.

 

In un'intervista dell'anno scorso dichiarò: “Da piccola disegnavo ovunque: sui muri di casa, sulle tende, sull'asse di legno dove mia madre impastava... Un giorno la mamma partì per Budapest con qualche mio lavoro in borsa per chiedere al direttore dell'Accademia se vedeva del talento...” e sul suo sito: “Ho sempre e solo fatto la pittrice. D’altra parte non saprei fare alcun mestiere”.

 

Di talento Eva ne aveva da vendere: lo coltivò e ne fece uno dei principali scopi della sua vita. Studiò e si diplomò all'Accademia di Belle Arti di Lione, appena in tempo per tornare a Belgrado dove i nazisti avevano già cominciato a devastare la città. Da lì tutta la famiglia venne deportata. Il padre, Leopoldo, rabbino e talmudista, venne ucciso. Lei, con la mamma e il fratello riuscirono a salvarsi, prima perché internati in un capo gestito da italiani, meno feroci dei nazisti, poi grazie ad una serie di permessi ottenuti per far curare la mamma a Spalato e successivamente a Bologna, dove la giovane si unì alla lotta partigiana.

 

Passata la bufera rimasero in Italia e si trasferirono a Roma. Eva cominciò a viaggiare tra Parigi, Madrid, Gerusalemme e Londra, ma è nella capitale italiana che scelse la sua dimora più stabile. Qui entrò a far parte del gruppo di Via Margutta e della Scuola romana di Via Cavour, di cui è stata l'ultima esponente; qui conobbe i più grandi artisti dell'epoca, da Moricone (era un suo vicino di casa) a Guttuso, da Carlo Levi a De Chirico e Dalì, da Picasso a Luchino Visconti e, non ultimo, suo marito Alberto Baumann, scrittore, poeta e giornalista, nonché, dagli anni '70, anche pittore e scultore, dal quale ha avuto un figlio, Alan.

 

Eva è stata un'artista poliedrica, che ha saputo coniugare il linguaggio universale con le esperienze individuali, il movimento con la staticità; il suo tema più ricorrente sono le biciclette ma anche i mercati, il Mediterraneo, i paesaggi, le nature morte, i ritratti, i voli. Ha dipinto le vetrate della sinagoga centrale di Roma e ha prodotto più di mille quadri usando tecniche diverse. Nel Museo di Belle Arti di Osaka è stata la prima donna ad esporre le sue tele, così come è stata anche la prima ad essere nominata Artista della Comunità Europea, negli anni '80. Nel 2008 l'allora Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano le conferì l'onorificenza di Cavaliere della Repubblica.

 

Se da un lato Eva mostrava un carattere estroso, aperto e socievole, dall'altra era discreta e profonda, non badava alle apparenze, ma curava la sostanza; usava infatti sostenere che l'”’importante non è partecipare: importante è credere nel proprio lavoro”.

 

Per quasi mezzo secolo nascose perfino agli amici e ai parenti più stretti le sue opere sulla Shoah, dedicate al ricordo di suo padre e degli oltre trenta familiari trucidati dalle belve naziste. Questa sua sfaccettatura, più intima e dolorosa, emerse soltanto nel 1989 e da allora anche questi suoi dipinti, più malinconici e grigi, sono stati esposti in tante sedi prestigiose sparse per il mondo, fra cui il Memoriale dello Yad Va Shem a Gerusalemme e l'Accademia Ungherese di Roma.

 

Ella, tuttavia, non ha mai mancato il suo sostegno alla pace e alla lotta contro il razzismo, è stata socia onoraria dell'ANPI e, con il marito, radicale fin dai primi tempi che è sempre stato un attivista in favore di Israele e delle comunità ebraiche italiane, ha creato una simbiosi non soltanto umana, ma anche artistica e professionale.

 

La scomparsa di Eva, nel luglio scorso all'età di 94 anni, ha lasciato un vuoto immenso non soltanto nel mondo dell'arte e nei suoi familiari, ma in tutta la cittadinanza romana.

 

 


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