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16/11/24 ore

Il Consiglio di Stato, un’altra corte di mandarini



Il 26 giugno 2015 la Corte Suprema degli Stati Uniti ha, di fatto, legalizzato il matrimonio gay in tutto il paese, con una storica sentenza in cui si è stabilito che gli Stati debbano consentire di accedere a questo istituto a chiunque lo voglia e che debbano essere riconosciuti i matrimoni contratti al di fuori dei loro confini. In Italia accade invece l’opposto: qualche giorno fa il Consiglio di Stato ha stabilito l’impossibilità di registrare nel nostro Paese i matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all’estero e ha attribuito ai prefetti il potere di annullare l’atto civile.

 

La sentenza, del 27 ottobre scorso, ha ovviamente riaperto le polemiche sulle ingerenze vaticane nelle decisioni politiche e sul vergognoso ritardo dell’Italia rispetto all’approvazione di una legge che consenta il matrimonio egualitario. La polemica ha coinvolto anche la figura del giudice estensore della sentenza, Carlo Deodato, che su facebook e twitter aveva espresso in passato più volte opinioni nettamente contrarie proprio alle nozze gay e si era persino dichiarato fan delle Sentinelle in Piedi in difesa della famiglia tradizionale, e il presidente del Collegio giudicante, Giuseppe Romeo, in quanto membro di alto spicco dell’Opus Dei, a dispetto del fatto che l’appartenenza a tale Prelatura personale del Papa dovrebbe essere incompatibile con la carica di consigliere.

 

Nello stupore espresso per le aderenze cattoliche di Deodato e colleghi si legge più di una punta di ipocrisia. Negli ultimi anni diversi articoli e inchieste hanno fatto emergere l’appartenenza di molti Consiglieri di Stato alle più varie consorterie, e come la disciplina del Consiglio di Stato, i suoi metodi di accesso, il regime di autogoverno quanto all’attribuzione di cariche e stipendi renda quest’organo uno dei più opachi tra le istituzioni italiane, tanto che sporadicamente si leva qualche voce favorevole all’abolizione della giustizia amministrativa per accorparla con quella ordinaria (anche se è quest’ultima che non vuole…. ndr).

 

Quella per sedersi sulla poltrona di consigliere di Stato può rivelarsi una vera e propria corsa all’oro: per ogni concorso, a fronte dei pochissimi posti disponibili, si presenta regolarmente un numero spropositato di candidati. Anche perché solo un quarto dei consiglieri entra direttamente per concorso: la metà è formata da magistrati di carriera dai Tar regionali, mentre un ultimo quarto è di nomina presidenziale su proposta governativa.

 

La carica garantisce privilegi di ogni genere, stipendi altissimi, e una posizione strategica perché al crocevia tra molti poteri: politici, imprenditoriali, corporativi, vaticani. Il Consiglio di Stato in Italia infatti ha il doppio ruolo, consultivo - emana pareri su schemi di atti amministrativi e normativi - e giurisdizionale, in quanto rappresenta il secondo grado di giudizio dei processi amministrativi che hanno avvio pressi i Tribunali Amministrativi Regionali e possono riguardare ambiente, edilizia, trasporti, lavoro, appalti pubblici, inadempienze della pubblica amministrazione.

 

Come se non bastasse, all’estrema delicatezza degli ambiti di intervento di questa magistratura superiore si aggiunge il continuo ricorso dei consiglieri a incarichi fuori ruolo, costume a cui nessun presidente riesce a porre un freno: non si tratta di semplici consulenze o incarichi universitari, che pure sottraggono tempo al lavoro di giudice, ma di vere e proprie nomine in ruoli chiave nella gestione della cosa pubblica, al vertice di istituzioni, organi, enti, gabinetti ministeriali, authority e simili, che sottraggono a volte per decenni i consiglieri al loro ruolo primario.

 

In una inchiesta pubblicata qualche mese fa sul Fatto Quotidiano, il giornalista Mario Marconi ha tracciato una mappa di questi veri recordman degli incarichi extragiudiziali. L’elenco è lungo e impressionante. Ci sono nomi notissimi che nessun cittadino assocerebbe mai al Consiglio di Stato - perché noti proprio per i ruoli ricoperti al di fuori di esso - come quelli di Antonio Catricalà, Donato Marra, Franco Frattini, Nicolò Pollari. Senza considerare doppi o tripli stipendi, se non di più, percepiti anche per un trentennio con cifre da capogiro, vere e proprie carriere parallele, sulle quali già nel 1994 persino il Consiglio Superiore della Magistratura ha lanciato l’allarme. Stipendi ai quali vanno sommate indennità corpose disposte da delibere interne senza alcun controllo.

 

Nell’elenco di Mario Marconi compare anche il nome di Carlo Deodato come perfetto esempio di “mandarino di stato”. Diventato consigliere nel 2001, ha sempre avuto incarichi fuori ruolo: uomo di fiducia dei berlusconiani, ha continuato a ricoprire incarichi anche durante il governo Letta, quasi sempre in gabinetti ministeriali, e ha iniziato a ricoprire il ruolo di magistrato solo da un anno, dopo la nomina di Renzi alla Presidenza del Consiglio.

 

Questa commistione tra incarichi politici, amministrativi e giuridici è alla base di innumerevoli conflitti di interesse. La massima magistratura amministrativa, di fatto inefficiente, perennemente sotto organico ma collocata nei ruoli chiave dell’amministrazione per fungere da perfetta cinghia di trasmissione tra poteri e corporazioni, è spesso attraversata da scandali giudiziari anche molto gravi, con casi di corruzione, tangenti, peculato. Scandali che il più delle volte si concludono giudiziariamente con un nulla di fatto. Forse perché cane non mangia cane. E questa è anche la conseguenza di un malcostume radicato e trasversale nella società italiana, che coinvolge sia la classe cosiddetta dirigente che l’opinione pubblica. La sinistra e non di rado anche la destra hanno troppo spesso osannato l’operato della magistratura, sostenendone di fatto la prevalenza sulla politica e sottraendola nel tempo a ogni forma di limitazione e controllo.

 

Non è un caso allora se per due volte – nel 2000 per mancanza di quorum, nel 2013 per mancanza di firme – è fallito il tentativo dei Radicali di limitare per via referendaria la possibilità dei magistrati di assumere incarichi fuori dal loro ruolo: un modo per riconquistare quella effettiva separazione dei poteri che, se si guarda al Consiglio di Stato, oggi sembra pura utopia.

 

 


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