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27/12/24 ore

Aggredito perché sua moglie è la zingara che va in televisione: intervista a Dijana Pavlovic



Aggredito perché sua moglie è “la zingara che va in televisione”: è successo a Paolo Cagna Ninchi, presidente dell'associazione Upre Roma e marito di Dijana Pavlovic, attrice e attivista Rom. Oltre alle minacce e agli insulti sui social network, la Pavlovic è da tempo bersaglio dell'odio razziale anche all'interno di trasmissioni televisive, tanto che lo scorso anno si arrivò alle denunce col leghista Buonanno che le aveva detto: “Siete la feccia della società”.

 

Il presidente di Upre Roma ha dovuto subire un intervento chirurgico in seguito a una lesione al timpano dell'orecchio sinistro, che richiederà un lungo decorso di guarigione. Ci siamo rivolti a Dijana Pavlovic, oltre che per esprimere a lei, alla sua famiglia e a Upre Roma la massima solidarietà personale e politica, per chiederle un commento su questa vicenda.

 

Un ennesimo episodio di violenza verso i Rom, stavolta che ti tocca da vicino. Cosa è successo?

 

Paolo, mio marito, è uscito venerdì sera alle 11 e mezzo a portare giù il cane ed è stato aggredito da una persona che era davanti al nostro portone, che gli ha detto: “Tu sei quello che ha la moglie zingara di merda che va in televisione”. Non c'è stata nessuna discussione, nel senso che non c'è stato neanche tempo di discutere o di dire qualcosa: gli ha dato un manrovescio sull'orecchio ed è finita lì. Lui ha il timpano perforato”.

 

Alla luce di questi fatti, pensi che il clima di odio verso i Rom e i Sinti stia peggiorando?

 

Sì, penso che stia peggiorando e non può che peggiorare: abbiamo dietro di noi anni di campagne d'odio, in particolare contro Rom e Sinti, e dunque è la conseguenza normale, logica. Dopo che uno in televisione ti dice: “Sei la feccia della società”, ti offende, il passo successivo è quello di passare fisicamente all'aggressione.

 

Abbiamo parlato di questi insulti razziali che hai ricevuto in televisione: sembra ci voglia poco a passare dalle parole ai fatti. Al di là di questi estremi, qual è il ruolo del linguaggio politico e mediatico nelle forme di violenza e razzismo che i Rom subiscono?

 

Il ruolo è fondamentale, è lo hate speech: a livello europeo si sa e si cerca di combatterlo in generale, ma è proprio quello che è successo in Italia negli ultimi anni, a partire dalle trasmissioni televisive. Quelle dove i politici come la Santanché, Salvini e altri si sentono in diritto di dire qualsiasi cosa, di criminalizzare in modo disgustoso un'intera etnia senza nessuna reazione, soprattutto da parte delle istituzioni.

 

È come rompere ogni limite, andare sempre oltre: si può dire sempre di peggio e poi si arriva ai casi estremi. Quando è successa questa cosa e noi l'abbiamo resa pubblica, ho ricevuto tanti messaggi di Rom e Sinti che mi raccontavano come anche a loro sia successo qualcosa di simile. Sono stati aggrediti, gli hanno puntato fucili addosso; e queste cose però poi non vengono denunciate per paura, e anche se vengono denunciate non c'è seguito perché non c'è una risonanza mediatica rispetto al fatto. Dunque quello che è successo a mio marito non è un caso estremo: sono certa, certissima che succede quotidianamente ai Rom e Sinti in questo paese.

 

Quanto pesano le politiche di segregazione e marginalizzazione sulla percezione che la gente ha di questa minoranza?

 

Pesano, è ovvio che pesano moltissimo, nel senso che parliamo di rendere una minoranza fragile dal punto di vista socioeconomico, vulnerabile con le politiche di segregazione e di esclusione sociale, quindi di rendere sempre più povere le comunità Rom e Sinte.

 

O non c'è intervento o quando c'è, invece di migliorare le condizioni di vita, le si rendono sempre più disperate: penso ad esempio agli sgomberi, alla scusa della desegregazione per sgomberare i campi e basta. Rendere ancora più precarie le vite di queste persone è ovvio che le porta in una condizione di sempre più visibile disagio. Le si vede chiedere l'elemosina, aumenta la microcriminalità e dunque questo serve a chi poi fomenta odio contro di loro: è sempre lo stesso giochino.

 

Camillo Maffia

 

 

 


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