La “via crucis” della riforma penitenziaria sulle misure alternative al carcere si è ferma alla "stazione Fico". Per decisione della conferenza dei capigruppo, la Commissione Speciale della Camera dei Deputati, che avrebbe dovuto esprime un parere meramente consuntivo, farà benaltro.
La scomoda questione passerà alle Commissioni ordinarie non ancora costituite e la decisione finale spetterà al Consiglio dei ministri di un nuovo Governo, molto meno predisposto del precedente al miglioramento delle condizioni dei detenuti.
Il fatto non deve meravigliare. C'era d'aspettarselo. Già con un Parlamento e un Esecutivo a maggioranza (teorica) "garantista" il tortuoso iter aveva trovato ostacoli insormontabili, malgrado ci fossero il tempo e i numeri per archivarie la pratica prima delle nuove elezioni. A maggior ragione con un'assemblea a trazione grillo-leghista, la decisione ostruzionistica e dilatoria di ieri è nella logica delle cose.
Va sottolineato con rammarcio l'allineamento di Forza Italia sulle posizioni del partito delle ruspe. In linea con un garantismo a corrente alternata, frutto dell'approccio ad personam che ha contraddistinto fin dalla sua nascita il partito di Silvio Berlusconi sui temi legati alla giustizia.
Chi invece si è spellato le mani per gli applausi, dopo l'intervento da Stato di polizia del Pm Di Matteo, al convegno in memoria di Casaleggio padre, non ha fatto altro che agire di conseguenza. Per amor di forca – come scrive oggi Mattia Feltri su 'La Stampa'. (red.)
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