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22/11/24 ore

La Costituzione non si sospende: il fine non giustifica i mezzi. Appello di un gruppo di magistrati



L’attuale momento di pandemia è decisamente grave e impone a ogni cittadino il dovere di collaborare costruttivamente alla gestione dell’emergenza.

 

 

Non è, dunque, in alcun modo nostra intenzione minare la credibilità di alcuna delle pubbliche autorità impegnate nei loro compiti né sottovalutare l’oggettiva difficoltà di esercitare questi ultimi in maniera adeguata.

 

Né, men che meno, dare ad alcuno alibi per la disobbedienza.
Interveniamo nel dibattito in corso per dare il nostro umile contributo di competenza tecnica, al pari di quanto fanno i medici e gli altri professionisti.
Perché anche il diritto è una scienza, sebbene di natura diversa da quelle cc.dd. empiriche. Siamo giurisperiti. In particolare, magistrati.

 

Il nostro contributo non parte da alcun presupposto ideologico e/o politico e non intende in alcun modo intervenire nell’agone politico e in alcuna delle contese politiche in atto nel Paese.
Né fa riferimento ad alcuna specifica autorità, fra le tante che hanno dettato disposizioni cogenti per i cittadini.

 

Si tratta, peraltro, di autorità molteplici, di diverso rilievo e di diversa connotazione politica: Presidenti di Regioni, Sindaci, Presidente del Consiglio, Ministri, ecc…

 

Le cui scelte hanno trovato e trovano ancora ampissimo consenso nell’opinione pubblica. Sicché, non è nostra intenzione individuare soggetti cui indirizzare attacchi o critiche, ma solo analizzare condotte e fatti nella loro materiale oggettività, da chiunque posti in essere. Il nostro intento è solo quello – che riteniamo doveroso – di mettere in evidenza le oggettive gravi lesioni di diritti costituzionali che sono state e vengono ancora praticate (a prescindere dalle ottime intenzioni che le hanno ispirate) e la non meno rilevante gravissima distorsione dei rapporti fra istituzioni e cittadini, che è stata prodotta e viene ulteriormente alimentata per ottenere determinati risultati ritenuti utili.

 

Con riferimento a tale ultimo aspetto del problema, impressiona moltissimo e preoccupa enormemente assistere ormai con ricorrente abitualità e addirittura con un diffusissimo consenso di opinione pubblica, su tutti i mezzi di comunicazione di massa, ivi compresa la televisione di Stato, a discorsi pubblici di importanti autorità – Presidenti di Regioni, Sindaci e non solo – che si rivolgono ai cittadini insolentendoli con il più volgare turpiloquio e propagandando provvedimenti palesemente illegittimi, fondati sulla convinzione di avere il diritto di imporre ai cittadini asseritamente indisciplinati – ridotti nella narrazione a sudditi minus habentes – qualsivoglia obbligo, capricciosamente scelto dall’autorità fino al limite del surreale.

 

Come preoccupa altrettanto assistere a una terribile involuzione del lessico, che induce rappresentanti di ogni autorità a utilizzare espressioni come “concedere libertà” che contraddicono l’impianto stesso della Costituzione, che riconosce e rispetta e non concede i diritti fondamentali della persona.

 

Il Covid-19 in un modo o nell’altro passerà. Mentre le riforme a furor di popolo della c.d. Costituzione materiale tendono a durare nel tempo. E per questo vanno analizzate con cura e, se del caso, contrastate. È ovvio che nei primi giorni l’improvviso e imprevisto (foss’anche colpevolmente) arrivo della pandemia ha reso comprensibile il ricorso a misure anche non legittime e non adeguate. Ma è inaccettabile che ciò continui ad avvenire e addirittura divenga regola e regola che si pretende financo virtuosa dopo diversi mesi che hanno dato tutto il tempo di comprendere e distinguere i rimedi possibili e funzionali da quelli inutili e/o inaccettabili. 

 

Senza una parola di pacato ma fermo dissenso, passerebbe come legittimo ciò che non lo è e verrebbe confermata la narrazione mistificante di questi giorni, nella quale la causa della pandemia e il problema da risolvere è l’asserita ma documentatamente inesistente (se non in misura del tutto marginale) indisciplina dei cittadini. 

 

Ciò premesso, è evidente e non controvertibile che tutti stiamo subendo una serie di gravissimi danni dalla situazione in essere, una parte dei quali causati direttamente dalla pandemia e altri – di non minore rilievo – connessi alla gestione dell’emergenza.

 

Ciò è, peraltro, oggettivamente provato dal fatto che i dati statistici quotidianamente forniti dal Ministero della Salute sono diversi da Regione a Regione e, addirittura, anche da Provincia a Provincia.

 

Sul punto, basti considerare, in fatto, che l’Istituto Superiore di Sanità ha reso noto nei giorni scorsi un proprio studio che ha accertato che «su circa 4.500 casi di Covid-19 notificati tra l’1 e il 23 aprile, il 44,1% delle infezioni si è verificato nelle Rsa, il 24,7% in ambito familiare, il 10,8% in ospedale o ambulatorio e [solo] il 4,2% al lavoro».

 

A fronte di ciò, si deve riconoscere quanto sia assolutamente mistificatoria la campagna di stampa, condotta praticamente a reti unificate, che ha diffuso e continua ad alimentare la convinzione che causa dei contagi siano le condotte di innocenti cittadini che portano a passeggio il cane o arrostiscono peperoni sul terrazzo di casa.

 

Né si può omettere di stigmatizzare quanto alimento abbia dato a questa campagna di stampa la diffusione di scene volutamente cariche di valenza simbolica nelle quali elicotteri delle Forze dell’Ordine e uomini armati in tenute aggressive braccano cittadini intenti a fare cose in tutta evidenza prive di qualsivoglia idoneità a concorrere all’aumento dei contagi, come prendere il sole in spiaggia lontani da chiunque o fare il bagno al mare.

 

In chi veda tanto spiegamento di forza pubblica indirizzato non verso chi ha prodotto e/o alimentato il contagio ma verso innocenti cittadini intenti a esercitare senza danno per alcuno loro fondamentali diritti costituzionali non può che alimentarsi una rappresentazione completamente falsa delle cause del male e, conseguentemente, dei rimedi legittimamente e utilmente adottabili.

 

Né si possono accettare passivamente, facendosene complici con il silenzio, le narrazioni che accreditano la tesi che chi propone osservazioni critiche avverso questo o quel provvedimento intenda difendere proprie velleità capricciose.

 

E’ vero che molti patiscono soltanto la rinuncia a una passeggiata o a un gioco, ma milioni di altri stanno patendo il fallimento delle proprie attività economiche, la perdita del loro lavoro, la gravissima compromissione di parti fondamentali della loro esistenza e addirittura della loro stessa identità.

 

Quanto ai danni causati da scelte dell’autorità, essi possono essere ritenuti giusti (nel senso di conformi al diritto) solo se i provvedimenti che li hanno causati e ancora li causano:

 

1. sono formalmente legittimi e 

2. sono materialmente necessari al fine di contrastare la pandemia.
Sotto il primo profilo, come ben illustrato in questi giorni da numerosi autorevoli giuristi, è pacifico che la quasi totalità dei provvedimenti adottati per impedire determinate condotte ai cittadini è costituzionalmente illegittima sotto il profilo formale, per violazione della riserva di legge prescritta dalla Costituzione repubblicana.

 

Si tratta di decisiva questione tecnico giuridica che non può essere liquidata come formalismo, perché in questa materia, come si suole dire, la forma è sostanza.

 

E perché la democrazia non è primariamente una forma di scelta del governante, ma un metodo di esercizio del potere. In particolare, un esercizio del potere sia formalmente che sostanzialmente soggetto alla legge.

Ed è molto pericoloso sottovalutare la gravità delle violazioni della Costituzione e delle leggi invocando le buone intenzioni di chi le commette. 

 

Sia perché la storia insegna come le più deplorevoli dittature abbiano ottenuto consenso sulla base della prospettazione di ottime intenzioni, sia perché in uno Stato moderno il fine non giustifica mai i mezzi ed è l’oggettività delle cose che conta e non il giudizio morale sui governanti. 

 

Né, peraltro, mancavano o mancano gli strumenti per contemperare il rispetto della citata riserva di legge con l’urgenza di adottare i provvedimenti più opportuni. Il Decreto Legge, per esempio, che avrebbe consentito al Parlamento di esercitare le sue prerogative. Ovviamente non limitato, come è stato fatto, a una inammissibilmente generica delega di poteri. 

 

Sotto il secondo dei profili sopra elencati, provvedimenti che comprimano diritti costituzionali delle persone possono essere legittimamente adottati solo se sono strettamente necessari a tutelare in maniera diretta beni superiori come la salute.
Dunque, la pubblica autorità può legittimamente vietare qualsiasi condotta che direttamente arrechi danno o anche solo metta in pericolo la salute pubblica. 

 

Ma non può, invece, in nessun caso impedire l’esercizio di diritti che solo a certe condizioni e indirettamente possano arrecare pericoli alla salute.
Non sarebbe accettabile, per fare un esempio fra mille, che si reintroducesse il reato di adulterio affermando che questo espone la collettività al rischio di maggiore diffusione dell’HIV, malattia contagiosa pur gravissima e tuttora diffusa nel mondo e nel Paese. 

 

Né sarebbe legittimo e tollerabile che, per ridurre la diffusione dell’HIV, si stilasse un elenco pubblico di tutti coloro che ne sono affetti.
Dunque, mentre è certamente legittimo il divieto di compiere attività che possano generare contagio, è specularmente palesemente illegittimo vietare l’esercizio di diritti che non abbiano alcuna attitudine diretta a diffondere il virus. 

 

Chiarito che il Covid-19 si diffonde per via aerea e che adeguata difesa si ottiene mantenendo una certa distanza dagli altri e indossando apposite mascherine, non si comprende come possa ritenersi legittimo il divieto di migliaia di attività che non hanno alcuna intrinseca attitudine a diffondere il contagio. 

 

E gli esempi sono praticamente infiniti. 

Come alimenta il contagio chi:
- cammini per strada da solo o con familiari con cui stabilmente convive?
- vada a visitare, da solo o con familiari con cui stabilmente convive, una seconda casa?
- eserciti mestieri o professioni in modo da mantenere la distanza e usare la mascherina?
- incontri chicchessia, per le più diverse ragioni (affetti, affari, ecc.), rispettando la distanza e usando la mascherina?

 

E perché camminare entro duecento metri dalla propria abitazione sarebbe innocuo e farlo, invece, entro un chilometro o oltre sarebbe per ciò solo diffusivo del contagio?
E perché si può convivere in una casa con il coniuge, ma non si può andare in auto insieme? Perché andare a trovare una zia non è contagioso e andare a trovare un caro amico lo sarebbe?
Perché dovrebbe ritenersi legittimo vietare condotte palesemente innocue? 

 

Con quale giustificazione formale vengono violentati, in questi casi, i diritti delle persone impedendone l’esercizio anche più elementare?

 

E, con riferimento al requisito della “necessità” del divieto in funzione della difesa della salute, se i divieti in atto fossero ritenuti adeguati alla situazione della Lombardia, che a oggi risulta avere avuto a oggi 73.479 casi totali e 13.449 deceduti (dati del Ministero della Salute), come potrebbero non essere ritenuti esagerati rispetto alla situazione della Calabria, che risulta avere avuto a oggi 1.096 casi totali e 83 deceduti? Tanto più in un regime di tendenziale divieto di attraversamento dei confini di regione. 

 

Né è accettabile – formalmente e sostanzialmente – un approccio che ipotizzi che, non impedendo (perché l’uso della parola “permettendo” è eversivo) l’esercizio del lecito si creerebbe la condizione per la pratica dell’illecito. Perché legittimando un approccio del genere si potrebbe giungere a contrastare le cc.dd. stragi del sabato sera vietando ai giovani al di sotto di una certa età di uscire da casa dopo le 20.00. O ridurre la piaga delle violenze sessuali imponendo alle donne di non andare in giro da sole. 

 

E’ lo Stato che riceve poteri dal Popolo e non il Popolo che ottiene concessioni dallo Stato. E in una democrazia, in uno Stato di diritto, il Popolo non può essere trattato come un bambino stupido.
E non può certamente ritenersi legittima l’affermazione costante, come fosse un’evidenza, del fatto che un intero popolo deve ritenersi incapace, se lasciato libero come la Costituzione impone, di attuare spontaneamente e consapevolmente tutto ciò che è ragionevole per difendere la propria e altrui salute.

 

Le istituzioni possono legittimamente chiedere ai cittadini di collaborare anche sacrificando spontaneamente loro diritti, ma non possono violare quei diritti perché questa è la via più semplice per non attuare altri modi legittimi e addirittura doverosi di soluzione dei problemi (ancora oggi non è chiaro, per esempio, se, a chi e come vanno fatti i tamponi per l’accertamento del contagio).

 

Tutte le energie – morali, materiali, economiche – che sono state impegnate nell’additare falsamente come untori i cittadini innocenti e nel perseguirli con strumenti sempre spropositati (gli elicotteri contro i bagnanti) e a volte palesemente illegittimi (le irruzioni di persone e droni nei luoghi di privata dimora) sono state distratte dalla ricerca delle vere cause dei contagi e dal perseguimento dei rimedi legittimi ed efficaci agli stessi.

 

Il rispetto della Costituzione e delle leggi è un DOVERE dell’autorità.

 

E, come quasi sempre accade, il bene coincide anche con l’utile. Perché difficilmente le istituzioni otterranno ancora a lungo dai cittadini il rispetto di norme illegittime e disfunzionali. Mentre facilmente continuerebbero a ottenere una costruttiva collaborazione richiesta con il rispetto dei diritti dei cittadini e con il riconoscimento della verità dei fatti, in alternativa a narrazioni di comodo ispirate a un rapporto malato fra cittadini e istituzioni. 

 

28 aprile 2020

 

Anna Maria Gregori – Giudice del Tribunale di Roma

Massimiliano Siddi – Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Viterbo 

Felice Lima – Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Messina 

Salvatore Cantaro – Magistrato in pensione 

Fernanda Cervetti – Magistrato in pensione 

Carmen Giuffrida – Magistrato esperto nazionale distaccato presso il Consiglio dell’Unione europea

Gianluigi Dettori – Giudice del Tribunale di Cagliari

Anna Maria Torchia – Giudice del Tribunale di Catanzaro

Daniela Quartarone – Giudice del Tribunale di Bergamo

Luciana Silvestris – Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari Concetta

Maria Ledda – Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Catania 

Viviana Digesu – Giudice del Tribunale di Catania 

Axel Bisignano – Procuratore della Repubblica Aggiunto presso il Tribunale di Bolzano

Antonio Giglio – Giudice del Tribunale di Catanzaro

Maurizio Pascali – Giudice del Tribunale di Padova

Massimo Zanetti – Consigliere della Corte di Appello di Perugia 

Chiara Capezzuto – Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Viterbo

Giovanni Benelli – Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trento

Massimiliano Radici – Giudice del Tribunale di Busto Arsizio

Valentina Grosso – Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Genova 

 

 Il cosiddetto processo da remoto è un non-processo di Massimiliano Siddi 

 

 


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