L’apertura della Porta Santa nel carcere di Rebibbia invita ad una riflessione particolarmente profonda, estesa ben oltre le appartenenze religiose.
Un atto simbolico di grande intensità emotiva che non può lasciare indifferenti anche quanti hanno sempre ritenuto di marginalizzare il problema delle carceri e delle condizioni dei detenuti.
Certo, ognuno ha la propria sensibilità, ci mancherebbe, ed ognuno ha la propria “lista” delle priorità ideali sulle quali concentrare anche semplici riflessioni.
Credo tuttavia che in un anno come quello che sta per terminare, con il primato dei suicidi nelle carceri, il senso di responsabilità, soprattutto della Politica dovrebbe condurre in una direzione diversa da quella delle mere dichiarazioni di facciata.
Più o meno plaudenti, più o meno votate a magnificare il gesto simbolico e offrire chiavi interpretative originali ed estese alla parola “Speranza” un messaggio rivolto ai detenuti vissuti come “dimenticati”, “scartati” che popolano un mondo tenuto a distanza.
Forse sarebbe ora di pagare anche il prezzo dell’impopolarità pur di fare i conti per davvero con il dramma delle carceri che non può essere affrontato in modo timido o ambiguo.
Così certamente non può continuare e bisogna realmente dare priorità al tema della pena carceraria, alla funzione della pena in generale, alle condizioni in cui i detenuti sono chiamati a scontarla, alle condizioni di disagio generale che vivono anche gli operatori del settore penitenziario, ai dati sulla recidiva legati alle forme di espiazione della sanzione.
Il ruolo che la Politica deve assumere è proprio quello di stabilire le priorità nelle scelte da attuare, stabilire gli interventi più urgenti e farsi carico di una situazione di enorme disagio che non consente alla pena di vivere la sua funzione costituzionale.
A mio parere sono due le direttrici indispensabili dalle quali bisognerebbe ripartire che fotografano specifiche necessità: investimenti adeguati ed immediati per far fronte ai deficit strutturali che riguardano il circuito della esecuzione della pena e l’abbandono definitivo di una dimensione “carcerocentrica” della sanzione.
Sotto quest’ultimo profilo, attraverso un più esteso utilizzo di forme di espiazione della pena alternative alla carcerazione. Forme in grado di tenere più vivo il rapporto con la comunità nella quale il reinserimento e la riabilitazione diventano obiettivi concreti oltre che primari.
I dati sulla recidiva dimostrano che le pene alternative alla detenzione producono un affievolimento, una incoraggiante flessione del fenomeno rispetto all’espiazione carceraria.
Si tratta di sanzioni a più alto contenuto riabilitativo e maggiormente rispondenti alla funzione della pena in cui, al controllo ed alla punizione, si affianca un ponte più stabile per raggiungere una piena risocializzazione.
Così, anche il carcere, vissuto quale extrema ratio, come pena riservata ai reati di maggiore allarme sociale e per soggetti di spiccata pericolosità, potrebbe liberarsi dalle sue drammatiche inefficienze croniche, assicurando trattamenti diversi in strutture adeguate e vivibili.
Non si tratta di ecumenico buonismo o di perdonismo privo di adeguata attenzione nei confronti delle vittime delle azioni delittuose. Si tratta di fornire risposte credibili e calibrate sulla necessità di dare alla sanzione la necessaria cornice costituzionale all’interno della quale lo Stato di diritto contiene la punizione.
Una punizione che si estrinseca attraverso l’esecuzione di una pena sempre volta alla valorizzazione della propria funzione di risocializzazione e di piena riabilitazione.
Questa funzione centrale viene frustrata da una esecuzione che travolge gli argini della piena legalità, che nega i diritti più elementari della persona che nessuna azione delittuosa è in grado di sottrarre.
E non porta neanche buoni frutti, se solo, come detto, si guarda ai dati sulla recidiva. Senza parlare di costi e di una spesa pubblica di gran lunga superiore quando la pena si sconta nelle strutture carcerarie.
La contrapposizione tra vittime e responsabili di azioni delittuose poi, rappresenta, in questo campo, una irricevibile suggestione demagogica.
Non è sottraendosi ai propri doveri di efficienza nel trattamento sanzionatorio e di vivibilità delle strutture carcerarie che si manifesta solidarietà alle vittime delle azioni criminose.
Lo Stato ha il dovere di far vincere la civiltà del diritto ed il rispetto delle regole che passa attraverso l’espiazione di una pena che sia rispettosa della dignità umana e consenta di mostrare la forza della legalità proprio attraverso il sistema sanzionatorio.
La legalità e il rispetto dei diritti prevalgono rispetto ad ogni forma di illegalità idonea ad infrangere il patto sociale.
Alla perdita della libertà non possono accompagnarsi ulteriori sacrifici e compressioni meno che mai invocando una sorta di qualunquistico senso di maggiore solidarietà e tutela delle vittime.
La dignità dell’uomo è un punto fermo che nessuna sanzione, in uno stato di diritto, può calpestare.
A prescindere dal fatto, poi, che ogni uomo non può essere rappresentato esclusivamente dal reato che ha commesso e non può per sempre identificarsi in una sola azione.
Ma la dignità della persona si tutela nel quotidiano e nella fruizione dei servizi più elementari.
Il grave sovraffollamento rappresenta certamente un aspetto centrale sul quale si misura la vivibilità delle strutture chiamate ad offrire il piano di risocializzazione e a dare un senso anche alla pena detentiva.
Gli ottantacinque suicidi che hanno caratterizzato questo 2024 sono certamente un dato che non può essere consegnato solo alle statistiche. È stato un anno record e il tasso di suicidi rispetto al “mondo esterno”, è di gran lunga superiore.
Si tratta di un allarme che va raccolto nell’immediato.
In questo senso, gli operatori impegnati nelle strutture offrono un impegno costante e qualificato ma evidentemente non è sufficiente, non può bastare ed alla lunga può subentrare un collettivo scoramento.
Certamente si tratta in molti casi di persone segnate da particolari fragilità ma il contesto e la mancanza di attenzioni adeguate quanto possono incidere?
Senza uno sforzo immediato ed interventi urgenti, l’anno che sta stiamo per accogliere rischia di seguire la dolorosa scia di quello che lo ha preceduto.
Voglio pensare che la forza simbolica dell’apertura di una Porta giubilare proprio in un carcere determini una contaminazione di energie e di sforzi per creare immediate condizioni affinché le drammatiche problematiche vengano affrontate come una priorità e gestite con lungimiranza.
(foto SIR/Marco Calvarese)
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