Sempre più la pena di morte viene vista nel mondo come una forma di tortura, dal momento che infligge una grave sofferenza mentale e fisica ai condannati a morte, ha dichiarato lo special rapporteur Onu sulle torture. Tradizionalmente, i Paesi hanno considerato la legittimità della pena di morte rispetto al diritto alla vita garantito dal diritto internazionale, ha detto al Comitato diritti umani dell’Assemblea Generale Onu il relatore speciale Juan Mendez.
"La mia analisi della giurisprudenza regionale e nazionale individua una tendenza verso la ridefinizione della legittimità della pena di morte", ha spiegato Mendez. "Gli Stati hanno bisogno di riesaminare le procedure ai sensi del diritto internazionale, perché la capacità degli Stati di imporre ed eseguire la pena di morte è in diminuzione, poiché queste pratiche sono sempre più viste come tortura".
Secondo Mendez, non c'è alcuna forma di esecuzione senza dolore, il che rende difficile respingere l'idea che si tratti di una forma di tortura. "I metodi di esecuzione non possono essere considerati come completamente indolori", ha continuato davanti ai giornalisti il relatore dopo l'intervento al Terzo Comitato dell'Assemblea Generale.
Mendez ha quindi esortato tutti i Paesi mantenitori a prendere in considerazione l'abolizione della pena di morte perché è "ingombrante e costosa e non si è mai certi che la si stia applicando nel modo giusto." Il valore deterrente della pena capitale, osserva il rapporteur, è discutibile. Inoltre, Mendez si è soffermato su quello che ha definito "fenomeno del braccio della morte," circostanze che causano cioè una grave angoscia mentale e sofferenza fisica tra i detenuti che scontano condanne a morte.
Tale sofferenza, ha precisato, include incertezza e ansia causata dalla minaccia imminente di esecuzione, isolamento prolungato, condizioni carcerarie misere e la mancanza di possibilità ricreative ed educative. (fonte NtC)
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