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23/11/24 ore

L’Europa di fronte all’Isis


  • Silvio Pergameno

La tragica recrudescenza del fenomeno degli attentati più o meno direttamente collegati con lo stato islamico mette in primo piano il problema della risposta da parte del mondo occidentale, la quale appare senza alcun dubbio caratterizzata a prima vista dalla mancanza di un preciso coordinamento tra i paesi colpiti o comunque esposti e resi malsicuri nella loro stessa vita quotidiana.

 

Non meno carente però la definizione degli obbiettivi di fondo, tanto grave da compromettere l’esito delle azioni intraprese e di quelle necessarie nel prossimo futuro, soprattutto sotto il profilo politico della stabilizzazione del Medio Oriente e degli sviluppi dell’intervento russo e più ancora del rapporto complessivo con il mondo musulmano, in particolare con riferimento al pesante afflusso di profughi e fuggiaschi nei paesi dell’Unione e alle modalità secondo le quali può essere costruita una ragionevole ambientazione dei milioni di musulmani destinati a vivere in essi, nel pieno rispetto della nostra democrazia e dei valori sui quali essa si fonda e che assicurano anche la piena tutela dei diritti dei nuovi arrivati.

 

Le difficoltà sono enormi. E ne è testimonianza un episodio, ampiamente rivelatore, al quale il Corriere della Sera di sabato scorso ha dedicato un’intera pagina. Due giornalisti del quotidiano (Lorenzo Cremonesi e Mara Gregolet, autori di due ampi servizi) si erano recati nell’Istituto tecnico Commerciale Schiapparelli di Milano per una lezione sull’ISIS e sulle sue manifestazioni in Europa.

 

Sono presenti trecento studenti delle classi superiori e i due oratori si dilungano sulla storia della scisssione tra sciiti e sunniti per la successione a Maometto, sulle divisioni che li separano, sulle radici del Califfato in Iraq e della sua estensione in Siria… consigliano la lettura del libro “La rivincita sciita” di Vali Nasr, professore iraniano docente alla John Hopkins School ov Advanced International Strudies di Washngton … ed è proprio a questo punto che interviene una studentessa musulmana per contestare con toni perentori che per l’Islam ci possa essere una successione a Maometto, che tutto è spiegato nel Corano nel quale c’è tutta la verità, che non servono altri libri. In sostanza c’è un’unica verità rivelata, che non può essere messa in dubbio.

 

E quando i due giornalisti tentano di spiegare la necessità di studiare la storia delle religioni e si richiamano al Rinascimento e all’illuminismo, a Voltaire e a Rousseau scoppia un putiferio animato da una quarantina di ragazzi musulmani che poi se ne vanno, nel turbato silenzio degli altri.

 

Anche questo è un problema della massima gravità, accanto a quello delle operazioni militari in corso. Anche se il loro possibile potenziamento dovesse avere rapidamente ragione del neonato Califfato (al di là del verificarsi di episodi, comunque gravi, come la vicenda dell’abbattimento dell’aereo russo da parte della contraerea turca) l’episodio della scuola di Milano rivela l’assoluta impreparazione con la quale i problema dei musulmani in Europa è stato sinora affrontato.

 

Che  poi strettamente legato con quello dell’apertura nel mondo arabo di un futuro di democrazia, di libertà,  di un confronto pacifico fra tendenze politiche diverse, di una convivenza fra religioni e confessioni, di una evoluzione della condizione della donna  che in gran parte resta quella di una metà del cielo emarginata e sottomessa, di un ceto intellettuale periclitante, di una Turchia che si era aperta alla democrazia ancora negli anni venti del secolo scorso e ora compie vistosi passi indietro, sotto la spinta religiosa e nazionalista alla quale l’Europa ha abbandonato Erdogan…. (quante volte abbiamo scritto  che dentro l’Europa la Turchia avrebbe avuto altre prospettive politiche ed economiche, mentre le forze democratiche del paese avrebbero fruito dell’appoggio non solo delle istituzioni europee, ma dell’opinione pubblica avanzata, della migliore cultura ) ….

 

Ci compiacciamo costantemente del fatto che non soltanto i musulmani non sono tutti terroristi, tutt’altro, ma lo stesso terrorismo non può trovare appoggi e giustificazioni nella lettura vera del Corano, religione monoteista, che conosce tra i suoi precedenti le religioni ebraica e cristiana e per la quale Allah (che se è l’unico Dio non può essere altro che quello di ebrei e cristiani…) è soprattutto grande e misericordioso. Ma non ci chiediamo mai, noi europei, cosa facciamo noi per aprire al mondo musulmano un futuro di apertura alle strade della democrazia.

 

E qui si apre la questione degli “Arabi democratici e liberali”. Anni fa (2007), con l’apporto determinante della giornalista Anna Majar Barducci il gruppo di Amici di Quaderni Radicali dette vita all’Associazione così denominata, la quale riuscì a radunare quasi un centinaio di intellettuali per l’appunto “arabi democratici e liberali”,  con la finalità di iniziare la costruzione di un riferimento coordinato ad alto livello sul problema della democrazia nel mondo arabo-musulmano, che trovasse nel mondo occidentale  e in particolare europeo un sostegno convinto e forte proprio perché i fermenti democratici presenti in quel mondo trovassero un punto fondamentale di crescita, di presenza, di approfondimento di tutti i problemi sul tappeto.       

 

L‘iniziativa fu completamente ignorata, snobbata, lasciata morire (anche se continua con coraggio la sua azione), quando l’Europa aveva mezzi enormi per darle consistenza, farne uno strumento nel quale soprattutto il mondo femminile, metà della popolazione musulmana che vive una condizione disperante, potesse trovare un ascolto attento e fattivo sul piano dei diritti umani e civili e per non contrattare soltanto quando si tratta di petrolio o per dare il via ad interventi armati quando non le resta altro da fare (interventi che poi le popolazioni pagano a caro prezzo). Abbiamo visto che in qualche caso le decise prese di posizione internazionali hanno avuto successo contro condanne a morte decise per reati che in realtà non erano che esercizi di diritti fondamentali per ogni essere umano.  Fatti sporadici, scoordinati, non legati a una precisa politica sostenuta dall’Unione Europea.

 

La stessa ”primavera araba” del 2011 è stata lasciata morire e viene spesso, adesso, anche considerata un fatto negativo perché si è risolta in un’avanzata dei “Fratelli musulmani”: atteggiamenti pilateschi del tutto inammissibili, dettati dalla miopia, anzi dalla cecità di stati e partiti che non hanno occhi per vedere; stati e partiti inadeguati ai tempi nei quali viviamo, e quindi incapaci di iniziative adeguate, nell’imbarazzante silenzio dell’Alto Rappresentente dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica  di Sicurezza.

 

Restiamo così intrappolati, tutti noi paesi europei, in una situazione paradossale e che appare senza sbocchi.

 

Ognuno degli stati coinvolti dell’Unione e fuori da essa – ed è questo l’aspetto più grave della situazione – si comporta soltanto in base ai più immediati interessi nazionali e alle possibilità di intervento che è in grado di porre in essere, il tutto sotto il peso del condizionamento della situazione politica interna: gli Stati Uniti di Obama sono da tempo orientati verso un progressivo disimpegno nelle vicende europee e limitrofe; Cameron  deve fare i conti con il prossimo referendum sulla permanenza del suo paese nell’Unione Europea; Hollande è di fronte alla minaccia sempre più consistente rappresenta dall’avanzata del Front National di Marine Le Pen; l’Itaia vede con preoccupazione il fallimento del tentativo dell’ONU di trovare un accordo tra le fazioni in cui è frantumata la Libia con conseguente aprirsi di spazi per la presenza dell’ISIS; la Russia, forte della constatazione del fatto che comunque la Siria ha bisogno di un governo che solo Bashar el Assad potrebbe in qualche modo assicurare nello scompiglio degli avversari, coglie l’occasione per consolidare la sua presenza in Medio Oriente e nel Mediterraneo, per far dimenticare l’Ucraina e per avviare l’abolizione delle sanzioni che sta subendo; la Turchia appare oggi sempre più marcatamente alla ricerca di un ruolo nazionale forte nella situazione mediorentale, preoccupata più di tutto dall’impegno che nella lotta all’ISIS hanno assunto i curdi e dei quali teme le rivendicazioni nazionali; la Germania continua a essere sempre condizionata dalla paura per se stessa, in particolare di fronte alle questioni di ordine militare e nel rapporto con la propria costituzione (la democrazia tedesca nel suo consolidarsi ha potuto avvalersi assai poco del quadro europeo); tutta l’Europa orientale ex comunista, Ungheria in testa, appare lontana dai problemi dell’Unione, preoccupata soprattutto dalla ripresa tendenza imperiale della Russia, che sta alle loro porte e che al loro interno ha avuto nel recente passato folte schiere di Quisling in suo sostegno…

 

La distanza tra lo  sconclusionato intervento complessivo anti ISIS e le esigenze reali di una politica dei rapporti con il mondo musulmano appare così veramente abissale, al punto che la mancata considerazione prima di tutto di analisi lungimiranti può compromettere l’esito delle stesse operazioni militari, come del resto è già successo nella vicenda irachena. Una lezione da non dimenticare, ma che appare già dimenticata, perché non tornano comodi questi ricordi a governi, parlamenti, partiti e a tutto il complesso di interessi coordinati di cui è intessuta la realtà degli stati nazionali.

 

 


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