di Gianfranco Spadaccia
E' fuor di dubbio che l'entrata in scena di Renzi abbia rappresentato un segnale di rottura e di forte discontinuità rispetto alle classi dirigenti post-comuniste e post-democristiane che dettero vita prima all'esperienza dell'Ulivo e poi a quella del Partito Democratico. Questo era chiaro già nella prima prova in cui si presentò in concorrenza con Bersani e nella quale, pur ottenendo un consistente successo, fu sconfitto.
Gli avvenimenti e le scelte successive, con la vittoria delle primarie che lo incoronarono segretario del Partito in sostituzione dello stesso Bersani e poi con l'estromissione di Enrico Letta da Palazzo Chigi che obbligò Napolitano a conferirgli l'incarico di formare il governo, hanno confermato e accentuato queste connotazioni e ambizioni del renzismo.
Ora è tempo di un primo bilancio politico e, nel tentare di delinearlo mettendo a confronto, come in ogni bilancio che si rispetti, i pro e i contro, le poste positive e quelle negative, converrà non solo mettere da parte valutazioni e atteggiamenti pregiudiziali ma anche sottrarsi alle suggestioni dell'attualità (per esempio quella determinata dalla vicenda delle quattro banche dell'Italia centrale) e alle previsioni interessate di chi ne profetizza un rapido logoramento, per esaminare invece criticamente nei suoi contenuti i diversi aspetti del conclamato riformismo renziano.
Renzi si presentò infatti all'opinione pubblica come il rottamatore della vecchia classe dirigente ma questo progetto di rottamazione sarebbe rimasto soltanto una trovata goliardica, molto spavalda ed anche un po' volgare, se non fosse stata finalizzata a sostituire una coraggiosa ed incisiva politica di riforme al preteso immobilismo che aveva caratterizzato le politiche di governo del centro-destra e del centro-sinistra nel corso della cosiddetta seconda repubblica. E quindi il bilancio deve misurare la caratura riformatrice degli interventi legislativi del Governo Renzi e dirci fino a che punto corrispondano alle intenzioni, alle promesse e agli impegni che accompagnavano l'insolenza di allora. E tentare di rispondere alla domanda: sono state vere riforme? Sono le riforme di cui il paese e il sistema politico avevano bisogno?
Qualche tempo fa' , prima della candidatura di Renzi a dirigere il PD – se non ricordo male, era da poco caduto il Governo Berlusconi e si era nel pieno dell'esperienza Monti – Quaderni Radicali dedicò un fascicolo al tema “La sinistra e la questione liberale”, problema destinato a riproporsi continuamente senza mai essere risolto nella vita politica del paese. Richiesto di un intervento, cercai di analizzarlo da tre diversi punti di vista, corrispondenti ad altrettanti problemi nodali : la riforma del sistema politico e istituzionale, la riforma della giustizia e la revisione della spesa pubblica, quest'ultima quale condizione necessaria anche se non sufficiente per poter perseguire la riduzione del debito pubblico, quella della pressione fiscale e più in generale una efficace riforma dell'economia. E' naturale perciò che nel dare il mio contributo a questo bilancio cominci proprio da questi tre temi...
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