«Abbiamo la peggiore classe dirigente degli ultimi trenta anni». Così Matteo Renzi nel suo primo intervento da segretario del PD in un’assemblea del partito. Eletto il 15 dicembre del 2013, il giovane ex sindaco di Firenze aveva, con una folgorante ascesa, conquistato il partito stesso. Dopo essere stato sconfitto nel dicembre del 2012 nelle primarie contro Pierluigi Bersani come leader del centrosinistra, l’ex boy scout si era trovato la strada spianata dal suicidio politico dello stesso Bersani che era riuscito a perdere una elezione già vinta nel febbraio del 2013.
Il governo Bersani dopo quel voto non nasce e allora ecco la necessità di far scendere in campo l’allora vicesegretario Enrico Letta che riceve l’assenso del presidente Napolitano e una risicata maggioranza parlamentare. È un’esperienza sofferta quella di Letta... Mitica la frase con cui il neo segretario «tranquillizza» l’allora capo del Governo: #staisereno gli consigliava con apparente amorevole attenzione. In poche parole faceva capire che lui era ben determinato a curare il partito (che di cure aveva e ha urgente bisogno!...) e di conseguenza a fornire il massimo appoggio al Governo. Come è finita è noto a tutti...
...Sono due anni ora che Renzi è a Palazzo Chigi, eppure sembrano profondamente mutati i caratteri della sua azione e della sua immagine. Non che il quadro politico sia cambiato granché. Nel centrodestra prosegue il cupio dissolvi di Berlusconi e di Forza Italia mentre la componente leghista, poujadista-lepenista, è divenuta maggioritaria in questa cosiddetta coalizione; marginale è nelle cose la destra di Giorgia Meloni.
Insomma, al di là dei più che discutibili contenuti (si fa per dire contenuti!), siamo di fronte a una deriva che rende il raggruppamento poco credibile come forza di governo, anche per la completa assenza di cultura liberale. La sinistra interna al PD è, per usare un paradosso, il più grande alleato di Renzi. Perché? Non solo il linguaggio, ma le proposte politiche che rappresenta costituiscono il più tangibile esempio delle scorie che ha accumulato la sinistra post-comunista. L’assenza di ogni intenzione di affrontare il nodo della sinistra e la questione liberale. Un piccolo residuale blocco conservatore che si muove tra nostalgia e risentimento. Non mancano ovviamente le frattaglie della sinistra estrema che da anni si dimena tra nomi e sigle diverse (Rifondazione Comunista, Sinistra, ecologia e Libertà, Lista Ingroia-Tsipras, Sinistra italiana, solo per citarne a caso qualcuna...), ma i cui protagonisti sono sempre gli stessi e i caratteri che li contraddistinguono sono quasi del tutto speculari alla sinistra interna al Pd. Del cosiddetto «terzo polo» grillino è presto detto. Le performance parlamentari e le azioni di governo nelle povere città dove hanno conquistato la poltrona di sindaco, con esiti disastrosi, hanno rivelato che il Movimento 5 Stelle è più il prodotto della disgregazione politico-istituzionale italiana che una forza di governo alternativo. Il suo agire è un mix di scientifica, quanto molto spesso allucinata, visione paranormale, di tentazione qualunquistico-giustizialista e di «buona fede» della «società delle conseguenze» che sessanta anni di partitocrazia, oggi senza partiti, ha lasciato come frutto velenoso.
Dunque Renzi si muove in uno scenario interno che non sembra offrire ostacoli, se non quello di una radicalizzazione del vento del qualunquismo che attraversa l’Europa e i movimenti che la esprimono. Eppure l’ingresso in campo aveva scatenato non solo il tradizionale sport italico del soccorso al vincitore, ma una epopea di cori di meraviglia (nello scenario immobile del Paese non del tutto infondati), che avevano monopolizzato l’attenzione della gente e dei mass-media...
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