di Andrea Manzi
Comunicazione e politica sembrano diventate l’una il clone dell’altra. E Matteo Renzi pare confermare l’ipotesi: in meno di due anni di guida del governo ha raggiunto risultati sorprendenti nella direzione di una leadership spettacolarizzata e auto-referente, con effetti addirittura più concreti e apprezzabili di quelli perseguiti, e non sempre centrati, da Silvio Berlusconi.
Gli esiti di tale coincidenza (o assimilazione concettuale) il premier li ha ottenuti utilizzando i media – per dirla con il compianto Andrea Barbato – come “altoparlanti del dialogo privato tra i vertici politici”. Ne è derivato un conseguente oscuramento del senso dell’informazione politica, non più percepita come tale dai cittadini. Tutto ciò sarebbe in atto proprio mentre la diffusa insoddisfazione per la qualità umana e professionale di politici e amministratori pubblici viene imputata anche alla comunicazione intesa come narrazione iperbolica di una realtà talvolta vuota.
Difatti, il rapporto tra la politica e il suo racconto, già terremotato per la profonda crisi della prima e visibilmente sbilanciato a favore del secondo, sembra aver incoraggiato l’improvvida sovrapposizione dei due concetti, ingenerando la convinzione che la comunicazione possa ormai considerarsi addirittura una forma di politica estrema.
Il presidente del Consiglio sembra dunque essere diventato autore di un quotidiano racconto auto-rappresentativo, che salta a piè pari le tradizionali forme di mediazione e “utilizza” come prolungamento della propria organizzazione gli strumenti del comunicare. Questi ultimi non sono impiegati attraverso tipici disciplinari e protocolli generativi della notizia, giacché per il premier fonte e racconto diventano coincidenti, sovrapponibili.
Stando così le cose, per Matteo Renzi e il suo apparato non vi è alcun onere di verifiche o di confronti con la realtà prima di comunicare alcunché. Al contrario, in questo sistema di informazione ego-riferita tutto risulta affidato alla parola dell’anchorman-demiurgo, vivificata dalla zampata ad effetto, dal guizzo imprevisto, dalla tempestività fulminea della notizia, vera o presunta che sia. Notizia che può, senza alcun impaccio, disinvoltamente ribaltare e azzerare l’informazione di un giorno o di un’ora prima.
Si accredita, pertanto, come autentico e attendibile, il racconto affabulatore e persuasivo, che vive di un’intima apoditticità e si legittima grazie alla sola referenza del suo autore. Non un rapporto circostanziato e documentato dal fronte degli accadimenti, quindi, «ma una costruzione del discorso politico, nel suo muoversi istintivamente, velocemente e tatticamente per comunicare sempre la cosa efficace al momento giusto; un tempo velocissimo senza tempo, come se si trattasse di una discussione su Facebook…» ...
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