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13/11/24 ore

I limiti della Costituzione italiana che la riforma Renzi-Boschi non intacca


  • Luigi O. Rintallo

Sarà un mantra ossessivo, i comitati renziani per il SI lo ripeteranno ad ogni uscita in tv o altrove: la riforma costituzionale agevola l’azione e le decisioni del governo. Ma proprio ciò rivela la natura profondamente sbagliata di tale provvedimento. È come voler tagliare una bistecca con un cucchiaio: il cucchiaio non serve a questo, così come le costituzioni non servono a spianare la strada al governo. Al contrario, storicamente le costituzioni delle democrazie moderne nascono allo scopo evitare che chi governa possa essere “agevolato” nella sua azione.

 

Il torto della Costituzione italiana sta, per l’appunto, nel non essersi posta sulla scia delle costituzioni volte a tutelare le prerogative dei cittadini rispetto agli organi statali e burocratici, rafforzati e blindati dall’intero impianto normativo della legge fondamentale. Non a caso la sovranità popolare è stata arginata, conculcata e delimitata, facendo in modo che nessuno dei soggetti apicali delle istituzioni (Capo dello Sdtato o premier) ne fosse espressione diretta. L’unica maglia strappata della rete era il referendum abrogativo e fu appunto attraverso di essa che i radicali hanno provato a rifornire di brandelli libertà una società altrimenti costretta dentro il recinto dello Stato dei partiti, che ha esercitato il suo potere attraverso le forme dell’assemblearismo. A depotenziare quel tentativo hanno provveduto, com’è noto, le sentenze della Consulta, indispensabile pilastro del nostro edificio istituzionale concepito e pensato per consegnare il Paese nelle mani delle oligarchie corporative, prolungando in età repubblicana la concezione statocentrica del fascismo.

 

Questi limiti profondi della nostra Costituzione sono all’origine della crisi di rappresentatività e di governabilità, che oggi viviamo in termini perfino più esasperati che in passato. Il punto è che nessuno di questi limiti è minimamente affrontato e tanto meno superato dalla riforma che porta il nome del ministro Elena Boschi. Ben poco affascina la retorica del cambiamento purchessia, per giustificare un eventuale favore verso un provvedimento licenziato a maggioranza da Camere elette con un quanto mai discutibile sistema di voto. Cambiare per cambiare non è certo un obiettivo sensato in politica. A maggior ragione, poi, quando – contrariamente a quel che sostiene Massimo Cacciari – la modifica costituzionale non realizza affatto i “cambiamenti che volevamo da anni”.

 

Se, come detto, i nodi riguardano il grado di rappresentatività e la governabilità del sistema istituzionale, sicuramente il venir meno dell’eleggibilità del Senato, la diminuzione del numero dei seggi del nuovo Senato e la riduzione della possibilità della doppia lettura delle leggi non li sciolgono affatto. Un’assemblea composta da persone selezionate tra i membri delle nomenclature degli enti locali, dove si sono esercitate le pratiche più deleterie del politicantismo, aumenta forse la rappresentatività? No di certo, anzi contribuisce ad allargare ulteriormente lo iato fra legittimazione popolare ed esponenti politici.

 

Altrettanto vale per la riduzione dei componenti il Senato: che vantaggio si ha nel passaggio da trecentoquindici eletti, bene o male risultato di una relazione fra votanti e candidati, a cento nominati estratti dai consigli regionali e comunali secondo criteri che inevitabilmente comprometteranno gli equilibri della rappresentanza? Né il palleggio fra Camera e Senato è veramente la causa della mancata decisione dei governi, visto che abbiamo avuto leggi approvate in pochi mesi e leggi mai approvate. Evidentemente l’affossamento delle leggi non dipende dal “palleggio”, ma dai problemi presenti all’interno degli schieramenti politici e questi si ripresenteranno immancabilmente anche qualora a pronunciarsi sia soltanto una Camera. Senza contare, inoltre, che il testo di riforma non esclude del tutto la possibilità della doppia lettura, laddove un terzo del Senato la richieda (art. 10, modifica dell’art. 70 Cost.).

 

Di finte riforme in questi anni l’Italia ha fatto il pieno. È un carburante che inquina la democrazia, per cui non sarebbe male farne a meno.

 

 


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