di Zeno Gobetti
Il concetto di populismo è certamente il più discusso e il più controverso negli ultimi anni. Certamente l’emersione di nuove forme di soggetti politici “populisti” ha alimentato il dibattito attorno a questo concetto. Non intendo entrare nei particolari di questo dibattito. Desidero solo evidenziare un aspetto che ritengo interessante e che mi permette di presentare ciò che penso sull’argomento.
Il populismo rappresenta, a mio avviso, una tecnica di raccolta del consenso attraverso la distruzione di schemi logici alimentando un approccio emotivo ai problemi della politica. In un certo senso il populismo agisce sulle nostre capacità di conoscere la realtà. La “strada della conoscenza” parte dal semplice per passare al complesso e tornare alla semplicità. Crescendo ci rendiamo conto che la realtà è complessa e che i nostri semplici schemi non ci consentono più di interpretarla.
Quindi ci mettiamo alla ricerca di schemi più articolati che ci consentano di interpretare e dare ordine ad una realtà complessa. Tuttavia questa ricerca, per produrre una conoscenza utile e una comprensione reale dei fenomeni, richiede una semplificazione. Solo coloro che hanno una vasta conoscenza, una grande capacità di riflettere e di ordinare le proprie idee possono intraprendere il percorso di semplificazione senza cadere nel rischio di banalizzare.
Ecco, questo è esattamente il rischio di questo passaggio. La banalizzazione, ovvero la semplificazione stupida. Da un lato anche la complessità presenta una sua stupidità. Mi capita ogni tanto di riascoltare delle vecchie interviste fatte a Leonardo Sciascia che trovo sempre stimolanti e utili per riflettere su vari temi. In una di queste Sciascia affronta il problema della complessità della politica e della amministrazione e vede in tale complessità il segno della stupidità del nostro tempo.
Serve una semplificazione nel pensiero e nelle parole della politica e spetta agli intellettuali questo compito. L’emersione di nuovi populismi di destra o di sinistra mostra l’esigenza dell’elettorato di semplicità. La politica era vista come un sistema complesso e i cittadini affidavano a dei professionisti che godevano della loro fiducia il compito di occuparsi di dirimere tale complessità per offrire soluzioni utili ai problemi.
La crisi della democrazia rappresentativa sta nel fatto che questo modello di fiducia tra il politico e l’elettore è saltato. I motivi sono molti, uno risiede nel fatto che la classe politica ha incrementato la complessità del sistema (la complessità stupida a cui si riferisce Sciascia) per esaltare la sua funzione e per chiudersi su se stessa. Basta osservare un qualsiasi giornale per rendersi conto che la politica non è considerata lo spazio in cui ci si occupa dei problemi della vita collettiva, ma diventa principalmente il luogo di contesa fra i partiti. Ovvero una complessità artificiale che serve a garantire ad un gruppo la sua “indispensabile” funzione. La crisi di questa relazione di fiducia ha prodotto una spinta alla semplificazione.
Ma chi si è occupato di semplificare? Purtroppo la carenza di intellettuali ha lasciato lo spazio a “banalizzatori” che con strumenti retorici piegano il discorso pubblico politico verso il basso. Mi sembra che l’esigenza di semplificare sia stata piegata verso la banalità. Lo si può osservare nel dibattito politico italiano ma anche in quello statunitense. L’emersione di un personaggio come Trump rappresenta esattamente questo processo. Affermazioni forti e contraddittorie servono solo ad offrire un “prodotto politico” facile. La banalizzazione non è un processo logico, non ha bisogno di rispettarne le regole.
Per questo motivo tutta la comunicazione politica dei banalizzatori cerca di produrre emozioni forti e in particolare quelle che ostacolano la riflessione e il pensiero; la paura, l’odio e il sospetto sono strumenti preziosi. Le stesse cose si possono dire per alcuni politici italiani, Salvini è l’esempio più evidente. Tuttavia mi sembra che questa tendenza riguardi il dibattito politico in generale.
Mi tornano in mente alcune frasi di Piero Gobetti dell’Elogio della Ghigliottina che vi riporto.
“L’attualismo, il garibaldinismo, il fascismo sono espedienti attraverso cui l’inguaribile fiducia ottimistica dell’infanzia ama contemplare il mondo semplificato secondo le proprie misure. […]La lotta tra serietà e dannunzianesimo è antica e senza rimedio.[…] Il fascismo in Italia è un’indicazione di infanzia perché segna il trionfo della facilità, della fiducia, dell’entusiasmo”.
Quando leggo queste frasi vedo molto di quello che oggi ci si presenta. Invece non vedo soluzioni facili per opporsi a questa tendenza. Forse serve prudenza e intransigenza. Sicuramente servirebbero intellettuali come Sciascia e Gobetti a cui dare fiducia.
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