Negli Stati Uniti la legge elettorale non cambia a ogni due per tre. Chi governa cerca alla brutte di modificare le carte in tavola a proprio vantaggio con un sistema un po’ più subdolo e sofisticato, ridisegnando quando serve i collegi elettorali secondo la distribuzione geografica del proprio elettorato registrata in quel momento. L’antica pratica, tutt’ora in auge, risale al 1800 e si chiama gerrymandering.
In Italia, invece, non si usa il righello sulla cartina, ma si è soliti cambiare direttamente il sistema di voto, per venire incontro alle esigenza di chi vuole garantirsi il mantenimento del potere o, al massimo, evitare che lo stesso finisca completamente in possesso dell’avversario, sacrificando – se necessario - la governabilità sull’altare degli interessi di bottega mascherati da sacra e democratica difesa del diritti delle minoranze.
Abbiamo assistito a questo giochino un po’ sporco ai tempi del Mattarellum, col quale s’intese inquinare la limpidezza di un sistema – quello uninominale - scaturito dalla urne, facendo rientrare dalla finestra la quota proporzionale uscita dalla porta principale del referendum. Poi fu la volta del Porcellum, architettato dal leghista Calderoli in quattro e quatt’otto per mitigare la sconfitta annunciata del centrodestra, dopo un’insipiente legislatura berlusconiana.
Con l’Italicum, invece, in linea di principio ci si è mossi per favorire la stabilità di un governo che governi. Il peccato (originale) è stato tuttavia quello di disegnare la legge sul consenso del momento: quel 40 percento all’Europee su cui Matteo Renzi sperava di vivacchiare fino all’investitura piena e inconfutabile delle prossime elezioni. Ma nel frattempo il vento è cambiato: sondaggi e test amministrativi alla mano, la nuova legge – come è noto - si sta in prospettiva trasformando in un boomerang e sembra calzare, loro malgrado, sempre di più a pennello sui 5 Stelle.
In sostanza, si teme la riproposizione su scala nazionale dell’effetto Raggi-Appendino, che ai ballottaggi hanno goduto della proverbiale propensione faziosa degli italiani a votare contro e non per, all’insegna del “nemico del mio nemico è mio amico”. Da qui la necessità di correre ai ripari e scongiurare l’imponderabile evenienza di vedere la Casaleggio & associati occupare le spaziose stanze di Palazzo Chigi. Con un Italicum riveduto e corretto, si passerebbe così da una legge fatta su misura per il fu Rottamatore Renzi a una legge contro la deriva grillina. In ogni modo, ci sarebbe il più che fondato rischio di partorire comunque un altro mostro frutto di mediazioni, di ricatti e ricompense per il contributo parlamentare, di questo o di quell’altro cespuglio di "volenterosi" testé nato, alle modifiche che guardano ancora una volta solo alle convenienze del momento.
Così, a fronte di un esecutivo che si vuole più forte e stabile, invece di creare gli opportuni contrappesi istituzionali con sostanziali emendamenti alla “Costituzione più bella del mondo” che maggiormente rispecchino la propensione maggioritaria del sistema, si tende sempre a incidere sul funzionamento del Parlamento e sulle maggioranze di governo, creando i presupposti per coalizioni rabberciate e relativo perpetuarsi di governi alla mercé di bizantinismi di ogni risma di cui è fin troppo piena la storia nazionale.
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