Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

23/11/24 ore

Marcia per l'Amnistia, oltre 17mila detenuti digiunano: il servizio pubblico se ne fotte


  • Giuseppe Rippa

Insieme ai dati, molto significativi, di adesione alla "Marcia per l'Amnistia" la marcia 6 novembre nel giorno del giubileo dei carcerati e che hanno visto la partecipazione di regioni come Piemonte, Basilicata, Calabria oltre che numerosi Comuni e sindaci e l'iniziativa dello sciopero della fame di compagne e compagni del partito radicale, un evento emerge come uno dei più clamorosi e quindi indigesto per il sistema politico-istituzionale: sono oltre diciassettemila (e numerose sono le lettere ancora da aprire per dare un dato definitivo) i detenuti che avevano deciso, come segno di adesione alla marcia a cui non possono partecipare, di realizzare per il 5 e 6 un'azione nonviolenta  di sciopero della fame.

 

Qualcosa di "inaccettabile" per una classe dirigente che è figlia dello stato-nazione italiana formatasi sul "rito del sangue". La disobbedienza civile, la politica dei diritti civili che si muove sulla coscienza e sulla responsabilità della persona è garantismo e libertarismo combinato, come ha sempre ripetuto Marco Pannella. Questo Stato non può permetterselo.

 

La nonviolenza è rivoluzionaria. Il nostro tempo non vuole recuperare in termini laici la componente "religiosa" dell'odierna possibilità di fare politica in forma alternativa alla pulsione di sangue e di morte che è nello Stato contemporaneo. La classe di potere non può accettare che la "subburra" della nostra società, il carcere, i carcerati, ladri, assassini e quanto di peggio ci possa essere divenga, nella sua nuova e possibile consapevolezza un avamposto di speranza nonviolenta.

 

È per questo che il servizio pubblico, ma anche l'informazione cosiddetta privata, non dà la notizia che un quinto (ma solo quelli che sono riusciti a sapere) dei carcerati hanno dato vita ad una azione nonviolenta in occasione della marcia. C'è bisogno di violenza e lo Stato vuole essere egemone... Quindi paura, emergenza, per inculcare domanda di necessità di difesa con aggressione .... L'informazione di regime fa il suo mestiere. Non ha altri strumenti culturali e pensare alla deontologia professionale è un eufemismo.

 

Come si può pensare che una notizia come quella che vede la "feccia" (secondo la loro rappresentazione) dell'umanità diventare attore positivo e nonviolento possa essere divulgata?

 

 

 

 


Aggiungi commento