Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

26/12/24 ore

Governabilità e rappresentatività


  • Silvio Pergameno

Come il Partito Democratico ha la sua storia, nella quale la governabilità c’entra non poco, così anche la governabilità ha un suo passato e molte cose da raccontare.  Parlare di governabilità è sicuramente parlare di riforme, ma significa anche investire un campo più vasto, quello politico, partendo da oltre trent’anni fa, da quando Craxi pose il problema, rimasto irrisolto.

 

E dei “Sì” del 4 dicembre u.s. certamente molti sono stati motivati proprio per il fatto che le riforme costituzionali sulle quali eravamo chiamati ad esprimerci quanto meno tenevano all’ordine del giorno un problema che non trova soluzione, non certo perché la soluzione proposta fosse (almeno in teoria) la migliore possibile. Ma ora sarebbe sbagliato fermarsi a queste considerazioni; quando invece è su una carenza di fondo dei “riformisti” che occorre soffermarsi.

 

Una carenza veramente grave. I riformisti infatti si sono limitati a porre la questione sul piano giuridico, a proporre una riforma, a mediare per trovare in Parlamento i voti necessari… Non che tutto questo non fosse necessario, ma il fatto è che seguendo questo percorso non si andava da nessuna parte, perché il problema non era di natura giuridica.

 

Il problema era politico, e macroscopico, il più grosso che si deve affrontare proprio per definire gli complessivi e il tipo di democrazia nel nostro paese; problema che ci resta davanti dopo il “NO”.  Perché si tratta di capire che cosa volevano gli avversari della riforma. Gli avversari più seri, quelli in via pregiudiziale, si preoccupano della salvaguardia della rappresentatività, del fatto che la governabilità venga cercata riducendo i poteri e la stessa presenza politica del parlamento nel paese, memori sicuramente dell’esperienza fascista, anche se proprio a questo proposito non si deve dimenticare che il fascismo arrivò e trovò il suo successo proprio per il fatto che i democratici non riuscirono a trovare la strada della riforma, che poi fu sostituita con l’instaurazione di una dittatura.

 

In realtà non c’è nulla di tutto questo. Il problema è diverso. E molto. Gli avversari della riforma (delle riforme, del riformismo) non si sono battuti affatto (e non si battono) per una questione di difesa del Parlamento e della rappresentatività. In buona fede, in mala fede? Non è con impostazioni di questo genere che si fanno passi in avanti. Diamo infatti per scontato che il partito del “NO” creda nella bontà del sistema democratico realizzato in Italia, considerato il migliore possibile, il sistema che garantisce almeno una vera rappresentatività.

 

Ma le cose stanno assai diversamente, perché l’attuale sistema democratico del nostro paese non garantisce che malamente la rappresentatività, oltre a mortificare la governabilità, perché in realtà concentra il potere reale nei partiti politici (che tra l’altro sono assai poco associazioni di cittadini per fare politica, secondo ‘art. 49 della Costituzione). Garantisce invece apparati che monopolizzano la politica ed escludono i cittadini.

 

La rappresentatività è già in gran scomparsa, cancellata dal sistema dei partiti, che ha trasferito la funzione di rappresentanza dal Parlamento ai meccanismi interni dei partiti, ai loro congressi, alle loro segreterie e ha fatto del Parlamento un soggetto a loro sottoposto, composto di loro delegati, vincolatissimi al mandato del loro partito (che, se no, non li rimette in lista) e che se hanno qualche vero o falso problema di coscienza piangono calde lacrime nell’anticamera della segreteria per farsi dare il permesso, per una volta sola, per carità, di votare di testa loro. E tutto questo in spudorata violazione del disposto dell’art. 67 della Costituzione che stabilisce che “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.” Ma di che cosa stiamo a ragionare!

 

E quando mai un cittadino può pensare anche di presentarsi da solo alle elezioni?!

 

L’art. 67 è una norma fondamentale nel nostro ordinamento costituzionale, perché regola proprio il rapporto fra partiti e istituzioni, ma i sostenitori del no – quelli più addentro nei massimi problemi dello stato – amano sì proclamare che la nostra costituzione è la più bella del mondo, ma non la difendono affatto, perché nella nostra Carta non è affatto disegnato il sistema dei partiti, ma c’è, come si è visto, una norma specifica che tende proprio ad evitarne una nascita di fatto. Quella che viene difesa è la costituzione di fatto.

 

Violata questa norma non meraviglia che poi trionfi il partitismo, che la risposta popolare assuma aspetti qualunquistici e che le consultazioni popolari esprimano un voto di pancia e non di cervello, come si suol dire, offendendo gli elettori, i quali, pur non pretendendo di essere dei grandi giuristi, hanno invece la percezione esatta di quel che succede. Così si alimenta reazioni meramente ribellistiche e si favorisce la crescita delle aggregazioni di stampo populistico. 

 

I partiti e movimenti politici avversari della riforma hanno capito soprattutto, anzi avvertono sulla loro pelle, che se si cambia qualcosa, si tratta comunque per loro di una sconfitta: premio di maggioranza, meglio di no, ma se proprio non se ne può fare a meno, meglio riconoscerlo non al partito ma alla coalizione che ha ottenuto il maggior numero di suffragi. I “5 stelle”, già fieri avversari dell’Italicum, ne sono diventati gli unici sostenitori, quando hanno visto che i sondaggi li davano come partito più voltato; i grillini poi - si sa – portano il nome … ma sono solo i corifei, i portabandiera di un esercito dai ranghi foltissimi

 

L’unica cosa che Renzi doveva fare per sostenere la sua riforma costituzionale ed elettorale era di cercare di persuadere gli italiani che erano in gioco esigenze fondamentali del paese e della nostra democrazia e che il suo partito interpretava queste necessità (e non cercava la strada delle furbizie). Questo sarebbe stato il grande dibattito nazionale di cui il paese ha bisogno e non da ora, ma sa sempre.

 

Certo l’art, 67 della Costituzione è una norma liberale, che proprio perché tale è stata silenziosamente ignorata. Pensate: mira a rendere indipendenti i parlamentari dai partiti! Come si fa anche solo a concepire una norma del genere. Non si capisce proprio come essa sia finita nella Costituzione più bella del mondo…. 

 

Ma quella che passa in tal modo è l’idea che la riforma, le riforme, il riformismo sono solo delle perdite di tempo e così si spalanca la porta al populismo, che è l’anticamera delle soluzioni autoritarie, bellissime perché – si diceva ai tempi di Mussolini – i treni arrivavano in orario. Oggi magari perché si vietano i botti di fine anno o domani perché Putin ci porterà magari in regalo una bella matrioska…

 

 


Aggiungi commento