Alla fine il ministro del Lavoro Poletti passerà probabilmente alla storia politica solo per le sue parole, dette in modo maldestro e casereccio, e non per quanto fatto (spesso male) o non fatto.
Dopo le uscite sulla fuga dei cervelli non tutti di pregio (e in effetti…) e sulle lauree inutili se conseguite a 28 anni, seppur col pieno dei voti (come dargli torto), nell’ultima presunta gaffe - che sottendeva una presa d’atto del sacrosanto stato dell’arte - ha toccano, con una "metafora" sullo sport nazionale, lo spinoso tema giovani-lavoro, che “è prima di tutto un rapporto di fiducia". Per questo, "lo si trova di più giocando a calcetto che mandando in giro dei curriculum".
La frase, articolata in un discorso più ampio e complesso sull’importanza delle relazioni sociali per trovare un impiego, è stata grossolanamente sintetizzata e stravolta più o meno in “giovani, non inviate i curriculum, meglio giocare a calcetto!”. Ne è seguita la consueta polemica sterile sui social-media e poi tra i palazzi della politica. In prima linea nello scagliarsi strumentalmente contro Poletti sono stati, guarda caso, i grillini sul web e i leghisti in Parlamento.
C’è chi ha ironizzato, chi ha invocato le dimissioni, chi gli ha chiesto le pubbliche scuse; in questo modo, dandogli involontariamente il merito di aver ancora una volta rivelato, con le sue verità inopportune, la tipica ipocrisia italiana da indignati di regime.
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