La domanda è lecita, anche se occorrerà attendere il risultato del secondo turno delle presidenziali francesi per azzardare valutazioni o meglio previsioni un po' più fondate; la domanda è lecita perché appare poco probabile l’ascesa di Marine Le Pen all’Eliseo, se non altro perché proprio la sua più recente “mossa”, l’aver rinunciato alla posizione di leader del Front National, l’essersi proposta con un appello a tutti gli elettori e l’aver richiamato subito de Gaulle, appare più che altro un gesto disperato.
E forse proprio perché il leader, che negli anni sessanta del secolo passato cambiò il quadro nazionale del Paese, certo non mutandone il destino, ma sicuramente facendolo uscire dalla penosa situazione di ingovernabilità (all’italiana…) nella quale versava da decenni, aveva alle spalle un passato e le qualità (compreso il tono e il gesto, la figura e la credibilità del personaggio interpretato) per concentrare nella sua persona la figura del leader statal-nazionale che impersonava la stessa Francia. Con tutto il rispetto che si deve agli avversari, Marine Le Pen non è una Giovanna d’Arco…
La mossa di Marine potrebbe trasformare, infatti, il balottaggio in un referendum…? Non sembra, senza peraltro dimenticare che nella sfida del 7 maggio la madame Le Pen del Front National ha delle carte da giocare. Che se non sono quelle della “gloire, possono per esser quelle di un sovranismo e di un antieuropeismo che scarica sull’Europa di Bruxelles le conseguenze della crisi, le perdite dei posti di lavoro, i guasti della concorrenza da affrontare con il protezionismo e con il corporativismo… un panorama che, nel presente quadro politico, ben si presta al confronto con Macron, che propone la ricetta opposta. E senza dimentica temi molto sensibili, come l’immigrazione e gli attentati terroristici che hanno duramente colpito la Francia dal gennaio del 2015.
E questo riporta il discorso al tema iniziale. Diamo per scontato che il candidato liberal-europeista vinca nel ballottaggio, resta però il fatto che poi dovrà governare, a cominciare dalla formazione di un governo… E questo passaggio resta molto legato all’esito della terza consultazione popolare che i francesi debbono affrontare in questa tornata elettorale: le elezioni di giugno. E Macron non ha un partito, e gli interessi che temono di essere colpiti (e quelli che già lo sono stati) si faranno sentire.
È già successo martedì scorso che le borse europee (soprattutto Bruxelles e Milano) hanno risposto bene al successo di Macron, ma proprio questo allarma i protezionismi e gli statalismi e i sovranismi che si sentono colpiti. Se Macron vince il ballottaggio, certamente si aprirà un mese di incontri, di consultazioni, di contrattazioni, di accordi e di scontri prima di arrivare ai due turni dell’11 e del 18 giugno delle legislative, per le quali, se non erro, sono già state presentate diciassette liste…
Una risposta alla domanda iniziale, quindi, è pressochè impossibile, perché tra l’una e l’altra ci sono troppi dubbi e condizioni. Macron non ha un partito e il suo apparato è sostanzialmente rappresentato dagli oltre duecentocinquantamila militanti (giovani) che si sono mobilitati con lui e che sono il simbolo di una speranza con cui “En Marche”, il movimento che egli ha organizzato in pochi mesi, sta affrontando la battaglia in corso. Non è poco, e può essere anche molto, perché si è configurata una contrapposizione tra una fiducia nel cambiamento e le vecchie alchimie che si impastano per la difesa di interessi corporativi.
Ma siamo davanti a una gara che ha un carattere diverso da quelle delle precedenti presidenziali, quando non erano presenti vere novità nello schieramento delle forze politiche in competizione. E questo è un elemento positivo oggi. Macron è una novità significativa, che in ogni caso è testimonianza di una presenza di tipo nuovo nel panorama politico francese. Non è poco. Ma è un fronte aperto, un punto di partenza….una battaglia appena iniziata, che ha registrato un successo iniziale con una sconfitta dei vecchi partiti. C’è da augurarsi che vada avanti.
E che insegni qualche cosa anche a noi italiani, ai quali il discorso deve tornare.
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