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24/04/24 ore

La questione democratica



 di Andrea Manzi

 

Uno dei più laceranti dilemmi contemporanei, suscitato dalle interrogazioni del pluralismo, è “democrazia reale o democrazia possibile?” Dubbio intrinsecamente morale, interno a quell'area compresa tra etica e politica che fu esplorata qualche anno fa da Salvatore Veca proprio con l'intento di dimostrare che il perseguimento di un pluralismo possibile non esclude affatto, anzi certamente include, una versione morale del mondo politico.

 

Naturalmente, affermare questa tesi è possibile se si è disponibili a considerare la fisionomia plurale della nostra democrazia, che andrebbe valutata non soltanto come un dato in sé ma come un valore. Si tratta di un percorso accidentato e impervio che induce a considerare, per essere più puntuali nei giudizi, i nessi tra giustizia e democrazia, poli indispensabili per distendere lungo la loro distanza valutazioni credibili.

 

L'aggettivo democratico, d'altra parte, indica una conformità ai principi della democrazia ed è proprio questa rispondenza (o concordanza) che appare fortemente insidiata nella nostra società in crisi. La riflessione vale sia che l'aggettivo democratico si riferisca ad una persona, sia che qualifichi le istituzioni o i partiti politici. Questi ultimi sono democratici per convenzione. Non avrebbero senso, infatti, loro ruoli e funzioni ispirati a forme di governo che fossero disancorate dalla regola basica del potere esercitato dal popolo attraverso rappresentanti eletti liberamente.

 

Essere democratico per giudizio convenzionale non significa, però, esserlo per davvero, altrimenti in Italia – dove, come in altre parti del mondo, esiste un partito che porta nel nome l'emblema di democratico – non vi sarebbero problemi di sorta, almeno stando a quel versante elettorale “blasonato”, sia in termini di radicamento che di forza e autorevolezza dei principi e delle istituzioni popolari. Invece di problemi ne esistono tanti e sono pure sotto gli occhi di tutti...

 

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