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23/11/24 ore

Vulnus istituzionali e tartufismo dei media


  • Luigi O. Rintallo

Giampaolo Pansa, in uno dei suoi indimenticabili “ritratti” di politici democristiani, descriveva Sergio Mattarella come persona tenace, tanto da paragonare il suo agire politico alla famosa goccia che, cadendo instancabilmente, finisce per perforare anche il marmo. Quello che è successo in queste settimane dopo il voto del 4 marzo pare confermare il giudizio, anche se viene da domandarsi oggi sino a che punto la tenacia non abbia sconfinato in un’ostinazione che minaccia di essere controproducente rispetto agli stessi intenti del Capo dello Stato.

 

Dopo ottantaquattro giorni di trattative, alla vigilia della presentazione della lista dei ministri da parte del presidente del Consiglio incaricato Giuseppe Conte, il Quirinale ha inteso far valere la prerogativa di scelta nella nomina del ministro dell’Economia.

 

Dopo che il professor Conte ha rimesso il mandato ricevuto il 23 maggio, Mattarella ha spiegato le ragioni del suo no all’indicazione dell’economista Paolo Savona quale titolare del dicastero di Via XX settembre e si è scoperto che esse si basano sulla convinzione che la storia e la personalità di Savona avrebbero innescato reazioni pericolose da parte dei mercati finanziari, sino al punto di minacciare i nostri risparmi e provocare danni irreparabili all’Italia.

 

In sostanza, la presenza di un ministro convinto – al pari di molti altri economisti – che il rigore finanziario è causa di mancata crescita, rischiava di suscitare una tempesta finanziaria e speculativa che ci avrebbe irrimediabilmente investito. Da qui il rifiuto e, ad avvalorare che con ciò il Presidente della Repubblica non intendeva sabotare la formazione del governo sostenuto da M5S e Lega, la precisazione di aver suggerito per il Ministero dell’economia il nome di un esponente di rilievo della maggioranza (e tutti hanno pensato al vice di Salvini, Giancarlo Giorgetti).

 

Prima ancora che si spegnesse l’eco delle parole pronunciate nella sala stampa del Quirinale, ecco che la compagnia di giro dei media che ha fatto da Provolino al presidente Mattarella, ora “trapelando” irritazioni ed ora “emettendo” brontolii vari, si chiede all’unisono: perché ai leader di Lega e M5S non andava bene la sostituzione di Savona con Giorgetti?

 

Eppure il quesito è facilmente rovesciabile: perché dire sì a Giorgetti, visto che al pari di Savona – che lo ha scritto nella lettera inviata in extremis proprio per diradare l’avversione quirinalizia – anche lui avrebbe attuato quanto riportato nel Contratto di governo?

 

Forse i giornalisti sperano di tutelare così il Quirinale dalla critica di aver agito in contrasto con la volontà espressa dagli elettori e, al tempo stesso, evidenziare il machiavellismo di Salvini e Di Maio che – a dire di certi commentatori – in realtà non volevano affatto andare al governo. Bisogna tuttavia riconoscere che l’operazione è alquanto miope.

 

Emerge infatti con chiarezza che la questione non è sui nomi, ma riguarda due diversi ordini di problemi. Il primo concerne l'interpretazione del ruolo dell'Italia nella Ue, che dal Quirinale intendono in termini per cui la nostra adesione è vissuta come quei matrimoni in cui uno dei coniugi soprassiede da ogni autonomia di giudizio allo scopo di non irritare l’altro.

 

All’origine di questo atteggiamento, comune a gran parte del nostro establishment di cui Mattarella è diretta espressione, vi è da un lato un giudizio non lusinghiero sull’Italia stessa e, dall’altro, la tendenza a concepire gli accordi europei allo stesso modo dei trattati di alleanza sottoscritti nell’immediato dopoguerra, coi quali accettammo una sorta di tutela strategica da parte degli Alleati.

 

Senza tener conto che si tratta di situazioni ben diverse: nel secondo caso eravamo nella condizione di sconfitti, mentre nel primo i patti sottoscritti sono tra pari. Né dovrebbe preoccupare più di tanto il timore che l'Italia possa subire lo stesso trattamento della Grecia, sia perché le due nazioni non sono paragonabili e sia perché allo stato attuale è l’Europa tutta che è prossima a un generale ripensamento del suo destino, a cominciare dall’asse franco-tedesco che è tutt’altro che solido.

 

Ugualmente privo di fondamento è il secondo ordine di problemi evidenziatosi nella dialettica intercorsa tra Mattarella e i partiti di Lega e M5S, vale a dire la rivendicazione di esercitare le prerogative del capo dello Stato in senso di tutela che lascia lo spazio alla polemica circa una azione interventista.

 

Dal 2006, i Presidenti della Repubblica sono stati eletti da maggioranze di parlamentari costituite attraverso i “premi” in seggi di una legge giudicata incostituzionale dalla sentenza del gennaio 2014. Questo comporta inevitabilmente un indebolimento della figura del Capo dello Stato, che pertanto non gode più dello stesso grado di rappresentatività che gli derivava dall’essere eletto da maggioranze di assemblee che erano maggiormente aderenti all’espressione del corpo elettorale.

 

 


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