Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

26/12/24 ore

La Francia e il Mali


  • Silvio Pergameno

La spedizione militare francese nel Mali (con indiretto appoggio statunitense), avviata qualche giorno fa dal Presidente François Hollande, anche se non è priva di motivazioni e anzi forse proprio perché di motivazioni ne ha e di complesse, appare modesta nell’apparato bellico schierato, ma in realtà non può essere affatto giudicata tale.

 

La Francia si è mossa, previe intese con gli Stati Uniti, su richiesta disperata del governo del Mali, incapace di resistere agli attacchi dei jihadisti che già occupano di fatto la zona nord del paese, l’Azawad, proclamatosi indipendente il 6 aprile 2012 ad opera dell’MNLA – il Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad, formazione, laica, composto in prevalenza da Tuareg, gruppo etnico autoctono dell’area. L’MNLA, comunque, non è un movimento solo Tuareg (come dice il comunicato dell’associazione “Arabi Democratici Liberali), dato che il numero due è un Songhai, altro gruppo etnico presente in Azawad (i tuareag hanno conquistato l’indipendenza dal Mali con la cooperazione degli islamisti, dai quali, peraltro, hanno poi subito poi le violenze).

 

I jihadisti, va ben tenuto nel conto, sono un avversario tutt’altro che trascurabile; hanno molti insediamenti nell’Africa occidentale e fino al mar Rosso e sono bene armati; hanno notevoli disponibilità di denaro acquisito con il narcotraffico e con i sequestri di persone e, nonostante la dura repressione subita in Algeria negli anni novanta del secolo passato, sono sempre in grado di essere pericolosi, come hanno dimostrato in questi giorni.

 

La questione è all’esame del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e all’attenzione dell’ECOWAS - Comunità Economica dei Paesi dell’Africa Occidentale, che i francesi chiamano Comunauté Economique des Etats de l’Afrique del l’Ouest  (CEDEAO), mentre nessun ruolo ha avuto l’Unione Europea, soltanto informata a cose fatte e nonostante l’esposizione a conseguenze tutt’altro che trascurabili, soprattutto per i paesi mediterranei (basti pensare alla ritorsione islamista nell’impianto di gas algerino di In Amenas e al conseguente intervento disposto dal governo algerino, tragicamente conclusosi con il massacro di decine di ostaggi innocenti).

 

Il Presidente Hollande ha subito molte critiche di varia natura per l’operato, ma a lui deve essere soprattutto rimproverato di comportarsi verso i paesi ex coloniali come un diligente continuatore di Charles de Gaulle negli anni cinquanta e sessanta del novecento, ampiamente osannato a suo tempo, anche a sinistra, per la sua politica contraria all’unificazione europea.

 

De Gaulle, dopo le sconfitte della Francia in Indocina e di fronte alla grave crisi algerina, aveva compreso che l’impero coloniale non poteva essere mantenuto, ma voleva conservare alla Francia un ruolo di potenza mondiale e di grandeur nazionale, con una forte presenza soprattutto nell’Africa Occidentale, una politica sicuramente più intelligente di quella dei suoi predecessori, ma che (anche all’Africa) ha causato danni enormi. Come è sotto gli occhi del mondo intero.

 

 La Francia ha conservato legami economici, politici e militari nell’Africa occidentale e tiene con i nuovi stati forme di cooperazione continuativa, ma non è riuscita a dare corso a una politica significativa e all’altezza dei tempi nel corso degli ultimi decenni del secolo ventesimo, creando situazioni che si sono aggravate per effetto del successivo processo di mondializzazione.

 

“Francafrique” è frantumata in una pletora di stati, a loro volta pieni di gravi tensioni interne, è sempre più  esposta alla penetrazione violenta dell’islamismo estremista e di quella economica delle nuove potenze, come la Cina. I paesi europei hanno rapporti bilaterali con i paesi africani (l’Algeria, per esempio, è per l’Italia il maggior fornitore di gas), ma l’assenza di un’Unione europea si fa sentire assai pesantemente, soprattutto per l’assenza di una garanzia per i diritti umani e civili delle popolazioni; intere etnie sono marginalizzate de perseguitate, come nella fattispecie i tuareg, intere comunità religiose, come i cristiani, subiscono ripetuti massacri.

 

La Francia non possiede una potenza politica, economica e militare in grado di affrontare i problemi degli stati e delle popolazioni dell’Africa occidentale, mentre l’Europa nel suo complesso subisce le conseguenze di una crisi economica che minaccia la sua stessa identità sociale oltre a quella economica, e alla lunga anche quella storico-politica, per non aver saputo comprendere la necessità di costruirsi un avvenire e si esaurisce in meschine litigiosità interne.

 

 La Gran Bretagna si è subito schierata con Hollande, l’Italia vuol mandare in suo aiuto tre aeroplani; la Germania si dissocia, ma Angela Merkel, che ama presentarsi come grande fautrice dell’integrazione europea, e Edna Kenny, nuovo Presidente della Commissione Europea, hanno palesemente perso una grande occasione…

 


Aggiungi commento