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02/05/24 ore

Frontiere del declino. L'incredibile vicenda di Lucio Bertè


  • Roberto Granese

Lucio Bertè, antico militante del Partito Radicale (quando c'era!), ex Consigliere Regionale in Lombardia e membro del Direttivo di Nessuno Tocchi Caino, è quel “pericoloso criminale” per cui il Questore di Roma Fulvio della Rocca ha ordinato in questi giorni “il rimpatrio con foglio di via obbligatorio a Milano con divieto di ritornare nel Comune di Roma senza la preventiva autorizzazione, per anni due e con l’ingiunzione di presentarsi a quella Autorità di P.S. entro giorni uno.

 

Si rimane increduli ed imbarazzati, un po’ di umana vergogna ci invade nell’apprendere certe notizie ed i lembi di una riflessione poco entusiasmante ci coprono lentamente correndo per miglia verso elaborazioni ancora meno felici…veniamo ai fatti.

 

I dettagli di questa bizzarra, per non dire altro, vicenda sono: il “pericoloso criminale”, in digiuno di dialogo da circa una settimana, si è rifiutato in modo nonviolento di non rimuovere dei cartelli di denuncia con cui stava cercando di portare avanti una battaglia per la conoscenza di una spinosa situazione…

 

Lucio Bertè – dice un comunicato relativo all'iniziativa -, con la sua manifestazione chiede molto semplicemente che Papa Francesco sappia che a Milano, nel sito del Coemeterium ad Martyres, sono state rimosse le sepolture dei primi cristiani per fare un parcheggio interrato accanto alla Basilica di S. Ambrogio - nel silenzio della Curia milanese, mentre “a Milano e in Lombardia ci sono Istituzioni che apprezzano il richiamo alla Chiesa dei poveri, la Chiesa della nonviolenza e della parola, rappresentata da uomini semplici e straordinari nella loro semplicità, i martiri della prima era cristiana, poi proclamati santi anche per allontanarli da noi.”

 

Ora, nonostante la chiara presa di posizione - con ben due mozioni del Comune di Milano e della Regione Lombardia, e altre due avviate per Natale - in quel luogo, sacro per i suoi valori civili e religiosi, la costruzione del parcheggio interrato è proseguita ed è quasi ultimata.

 

Eh..si, sicuramente un criminale…

 

Quando credi di aver esaurito l’argomento trovi anche motivazioni aggiuntive a sostegno dell’azione della Questura: “annovera precedenti di polizia per violazione della normativa sulle sostanze stupefacenti” ed ancora “nel Comune di Roma la medesima (cioè Lucio Bertè) non ha fissa dimora e non vi svolge alcuna regolare attività lavorativa, si presume che qui si trattenga al solo scopo di commettere azioni che mettano in pericolo l’ordine e la sicurezza pubblica”.

 

 

Circa i “precedenti” di Lucio Bertè – ha ricordato la segretaria di radicali Italiani Rita Bernardini - “ … quella disobbedienza civile sulla legalizzazione delle sostanze stupefacenti, che facemmo insieme a Milano in Piazza della scala nel lontano ottobre del 1997, due anni dopo il GIP pronunciò il “non luogo a procedere “perché il fatto non sussiste”.

 

Non vi fa già un po’ di paura in più?

 

E qui le considerazioni ed elaborazioni mentali sulla questione incominciano a fluire in crescendo: ma la società tutta, non solo la Questura, lo saprà cosa è un digiuno di dialogo (oltre che un modo per canzonare Pannella)? Sembra che poco tempo fa lo stesso Papa Francesco abbia riesumato il concetto quindi sembrava l’interlocutore perfetto, no? …Ancora, se pure Capitini non lo conosce quasi nessuno fuori da una stretta cerchia di idolatri ed ultras pannelliani, Ghandi dovrebbe essere un po’ più noto…non come Che Guevara ma, complice lo spot di Telecom del 2004 ed il ritrovato interesse per l’India derivato dalla “questione Marò”, la nonviolenza dovrebbe avere una certa notorietà e praticabilità nel dibattito pubblico odierno …qui torniamo alle conseguenze del sessantennio partitocratico…

 

Quando si è imposto un modello culturale lo sostieni, la nonviolenza è bella, ma non è interessante per il prodotto socioantropologico del disastro italiano, è una delle tante suppellettili che adornano gli scaffali alti, prendono polvere e certificano il baratro che separa essenza ed apparenza.

 

Basta poco perché l’incredulo imbarazzo si trasformi nell’amara constatazione di un fatto… Oggi, in questo paese che gioca a legittimare sulle ambiguità più assurde ogni forma di violazione possibile anche delle più elementari e basilari norme della più semplice forma di convivenza civile, ciò che non può e non potrà mai “passare” è proprio quella stessa legalità di fondo che dovrebbe essere la pietra angolare dello stato di diritto.

 

Le parole e le cose si allontanano in uno iato che diviene sempre più paurosamente ovvio e scontato; la “società civile” degli esseri umani incivili esercita i suoi doppi e tripli standard per cui la locuzione che la legge è uguale per tutti ed è garante dei diritti diviene la prassi per cui ogni uomo sul suolo del paese è soggetto ad una applicazione diversa della legge, sempre diversa da quella scritta e sempre esercitata a prescindere da qualsiasi forma di presa di coscienza dei diritti e dei doveri del singolo come delle istituzioni. Ancor di più quando si opera con la nonviolenza per guadagnare un piccolo spazio di verità e di impegno civile.

 

Questo malcostume culturale che abbiamo ereditato dai nostri padri e trasmesso a nostri figli si fa beffe, nelle nostre ignare coscienze, di circa quattro secoli di evoluzione democratica portandoci ad introiettare e legittimare quel modus operandi da vicereame spagnolo che ormai caratterizza le nostre istituzioni giuridiche, etiche, morali, religiose, economiche e chi più ne ha… 

 

La psicosi collettiva non solo rinchiude in un oblio salvifico dell’integrità identitaria ogni forma di rielaborazione dei modelli culturali e della legittimità delle regole del gioco; essa oblia la stessa esistenza di queste regole, consuma nel falso, nel ridicolo e nell’inutile le armi che la storia democratica ha creato e le confina nella satira e nella retorica. Accade così che l’omicidio, lo stupro, la rapina, il genocidio, la tortura e tutte quelle forme di animalità irrazionale che ci portiamo scritte nel DNA possono divenire, tramite questo processo, comprensibili… forse perdonabili in alcuni casi… in altri addirittura inevitabili, necessarie o auspicabili.

 

Diventa difficile guardare oltre questa analisi così ultimativa ed, a volte, è impossibile reggere lo sguardo su un quadro così desolante ma la conoscenza e l’accettazione dello status di malato sono i prodromi necessari ed inevitabili per prospettare una qualsiasi forma di guarigione. Lavoriamo per questo. 

 

 


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