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16/11/24 ore

Ostia! Tra il dire e il fare c’è di mezzo il lungomare



La giunta Marino ha partorito un mostro giuridico: ci troviamo evidentemente davanti al proverbiale cane che morde il bambino, e non al bambino che morde il cane. Però questo pasticcio in particolare merita di essere approfondito.

 

Sì, perché il vergognoso compromesso tra il Comune e gli stabilimenti balneari di Ostia, denunciato dal consigliere radicale Riccardo Magi, non solo impedisce il libero accesso al mare dei cittadini e inventa una distinzione tra varchi pubblici e privati che per legge non esiste, ma si traduce nella definitiva pugnalata, da parte di Ignazio Marino, a una presenza radicale nelle istituzioni romane che aveva fatto di tutto per sostenerlo.

 

Se già l’infausto matrimonio scricchiolava quando il sindaco chiedeva la testa del consigliere, il quale si era rifiutato di votare lo scempio del patrimonio pubblico, col mare di Ostia siamo decisamente prossimi al divorzio, perché neanche il più remissivo dei coniugi potrebbe tollerare un tradimento simile.

 

La battaglia del lungomare, volta a consentire ai cittadini e ai turisti il libero accesso alla spiaggia, di fatto negato dalla lottizzazione delle spiagge a vantaggio degli stabilimenti balneari, è infatti una delle lotte-cardine di Magi. Una battaglia che sarebbe un errore ritenere poco essenziale. Al di là delle giuste ragioni di Magi e dell’ovvio, inalienabile diritto degli esseri umani ad accedere al mare liberamente senza essere costretti a versare l’obolo, garantito dalla legge e disatteso nella prassi, c’è un punto ancora più grave che non è stato sufficientemente sottolineato.

 

Questo aspetto rende l’iniziativa di Magi qualcosa di più di una valida azione locale, e la sposta su un piano universale. Non molti anni fa l’Italia, con un raro moto di laicità, ha varato una legge che consente lo spargimento delle ceneri dei defunti. Queste però non possono essere sparse in un luogo qualsiasi, ma in uno spazio designato dal Comune competente. Tale spazio è per l’appunto il mare di Ostia. Fece scandalo, a dicembre del 2013, la vicenda di un uomo residente a Roma che rischiò sette anni di carcere per occultamento di cadavere, in quanto si era recato in Sardegna per spargere in mare le ceneri della consorte defunta ed era stato fermato dai carabinieri perché la legge autorizza la dispersione “solo ed esclusivamente” nel mare di Ostia.

 

E’ difficile descrivere l’orrenda, grottesca difficoltà di doversi fare strada tra gli stabilimenti, con l’urna sottobraccio, alla ricerca di un inesistente metro di spiaggia libera, per poter trovare un luogo appartato. Quello che viene calpestato quindi è il più antico e sacro dei diritti umani, il solo garantito fin dall’epoca preistorica: provvedere alle esequie in modo dignitoso. Ed è violato per ragioni evidenti di corruzione, mala gestione, cinica convenienza e illegalità diffusa.

 

Il definitivo voltafaccia di Ignazio Marino nei confronti dei Radicali è grave e sostanziale. Sarebbe ora che molti compagni superassero la questione ideologica che paralizza l’area, e si rendessero conto del fatto che, come instancabilmente sottolinea Marco Pannella, ieri avevamo il regime fascista e oggi quello cosiddetto "antifascista".

 

Condonare alla sinistra di regime quello che non si consente alla destra di regime non solo è eticamente scorretto, ma non porta a nessun risultato politico. Due sono gli ingredienti per una buona torta radicale: credibilità e alterità. La prima fa gola e la seconda fa paura. Sono anni che una certa parte della sinistra fa di tutto per sfruttare la credibilità radicale e assassinarne l’alteritá.

 

Ne è stato un esempio il livello dello scontro durante la legislatura in cui i radicali si presentarono col PD, e la disfatta che ne è inevitabilmente seguita. Per superare lo stato attuale delle cose, varrebbe la pena rendersi conto che Iannone e Marino sono diversi nel parlare, ma non negli esiti. Gli assalti di Casapound si abbattono sulla piazza; quelli di Marino si chiamano “sgomberi” o “bonifiche” e portano una firma sopra un pezzo di carta. Ma se i primi sono più violenti verbalmente e anche materialmente, i secondi lo sono di più nelle conseguenze.

 

Con Marino i modelli "culturali" non sono per nulla diversi da quelli censurabili di una certa destra. Può accadere che un uomo politico sia straordinariamente sensibile ad alcune tematiche, e incredibilmente insensibile verso altre. Può accadere che combatta in prima fila per denunciare le condizioni degli OPG, e che faccia esternazioni e azioni violente nei confronti della minoranza Rom.

 

Può accadere infine che scatti, sempre nelle persone in buona fede, una pericolosa logica: quella del baratto dei diritti umani. Siccome costui mi dà sponda su due o tre battaglie, evito di contrariarlo sulle altre e se la sua insensibilità si traduce in disumanità, continuo a fare comunicati di plauso, cercando al tempo stesso di portare avanti alcune lotte per conto mio, ma contando sul suo ampio sostegno in relazione ad altre.

 

Apparentemente, può sembrare alta politica. In realtà un ragionamento simile è indegno di chi vuole richiamarsi alla “Peste” di Albert Camus. Il grande autore francese, oggi largamente riabilitato, subì nel corso della sua vita un terribile isolamento perché condannava con fermezza, nel clima intellettuale della cosiddetta sinistra dell’epoca, le violenze del regime comunista, dall’invasione dell’Ungheria alla persecuzione dei dissidenti sovietici.

 

Ed è proprio questo che distingue un Radicale da qualunque altra forza politica: la condanna inappellabile delle violazioni dei diritti umani e delle forme di disumanità indipendentemente da dove provengono, quand’anche fossero compiute in nome del più alto degli ideali di uguaglianza e di solidarietà; il rifiuto categorico di tacere laddove non c’è rispetto della persona, foss’anche il caso di un singolo individuo; e quello di prestare a chi viola i diritti umani la propria credibilità, sacrificando l’alterità.

 

Qualche settimana fa, un’altra persona è morta a causa delle politiche antilegalitarie riportabile alle responsabilità – dirette e indirette - della giunta Marino. Nella zona di Tor Sapienza il Comune ha innalzato una barriera con dei pilastri davanti a un campo nomadi, per separare il ghetto dal centro abitato.

 

Una donna cardiopatica, a cui il Comune aveva già distrutto la casa nell’autunno scorso senza regolare preavviso né soluzioni abitative di nessun genere durante una operazione di “bonifica”, ed era stata messa in mezzo a una strada insieme a una giovane che si trovava al nono mese di gravidanza, aveva poi trovato rifugio nell’ospitalità di parenti che abitano in fondo al campo.

 

Ha avuto un attacco cardiaco: l’ambulanza è arrivata, ma non aspettandosi il muro dell’apartheid si è trovata bloccata davanti al campo. Quando hanno cercato di salvarla scendendo dal mezzo, attraversando a piedi il campo e portandola in braccio, era troppo tardi. E’ un’altra delle vite che avrebbero potuto essere salvate, condannando i comportamenti della giunta Marino nei confronti dei Rom senza se e senza ma, risparmiandosi entusiasmi fuori luogo, sostegno a meri proclami, “sovrumani silenzi” e convegni riparatori, e intraprendendo un’opposizione radicale alle politiche di Marino degna di quella portata avanti giustamente nei confronti di Alemanno.

 

Anche qui, è difficile credere alla buona fede di chi è disposto, pur di fare notizia, a trasformare una trasmissione di Radio Radicale nel MinCulPop d’Ignazio Marino. Ma è sempre a chi invece è in buona fede che queste considerazioni sono rivolte. Ora chi ha sostenuto la logica del baratto dei diritti umani può specchiarsi nell’azzurro mare di Ostia, e farsi una sola domanda: ne valeva la pena?

 

Il modo comunque in cui Marino si è appropriato dei contenuti radicali dopo averli asserviti alla logica del compiacimento degli interessi in gioco è ben sintetizzato dai manifesti che campeggiano per l’intera città, in cui il Comune si vanta di aver restituito il mare ai romani. Non solo i Radicali non vengono neppure citati, ma il sindaco si guarda bene dal dire che ha fatto semplicemente il gioco delle tre carte, perché i varchi già c’erano. Dichiara infatti Magi: “Sul lungomare di Ostia ci sono già 67 varchi: sono gli accessi agli stabilimenti balneari e alle spiagge attrezzate che, per definizione e per legge, dovrebbero essere tutti accessi pubblici alla spiaggia. La soluzione per restituire ai cittadini il mare di Roma, quindi, non è aprire nuovi varchi, bensì far rispettare la legge che a Ostia, a differenza delle altre località costiere italiane, non vale”.

 

 Camillo Maffia

 

 


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