Già militante radicale e redattore di Radio Radicale, Roberto Giachetti è fra gli esponenti del Partito Democratico che più si sono impegnati per la modifica del sistema elettorale adottato nel 2005 e dichiarato incostituzionale dalla Consulta. Dal 2013 vicepresidente della Camera e fresco vincitore alle Primarie per la corsa a sindaco di Roma, su Quaderni Radicali risponde ad alcune domande sugli ultimi due anni che hanno visto salire al governo il segretario del PD.
Giachetti evidenzia come il merito principale di Renzi sia stato quello di aver finalmente superato il blocco dell’iniziativa riformatrice, nella quale si è impantanata la politica italiana durante la cosiddetta “seconda Repubblica”. Ciò non lo esime, tuttavia, dal giudicare con spirito critico diversi aspetti delle riforme approvate, tant’è che molte delle sue osservazioni appaiono ancor più chiare ed incisive di quelle mosse da alcuni settori dell’opposizione – interna ed esterna – alla maggioranza di governo.
Di particolare rilievo, a nostro avviso, è infine la considerazione secondo la quale i partiti devono riuscire a formare le loro classi dirigenti, partendo da chiare assunzioni di responsabilità a cominciare dai livelli locali, scongiurando così le degenerazioni registrate ad esempio nella capitale.
Quale elemento ritieni possa considerarsi distintivo di questi ultimi due anni, che hanno portato Matteo Renzi prima alla segreteria del Partito Democratico e quindi a Palazzo Chigi?
Nei vent’anni in cui si sono alternati al governo coalizioni di centrodestra e di centrosinistra, tutti hanno più o meno espresso una dichiarata volontà riformista ma in realtà il nostro è stato un Paese bloccato. Per raggiungere il finto obiettivo della riforma migliore, si è accettato di non fare assolutamente nulla. Legge elettorale e riforma istituzionale sono il simbolo di questo immobilismo, perché se è vero che non sono mancati gli interventi di riforma (da quella del titolo V a quella approvata dalla maggioranza di centrodestra e respinta col referendum del 2006) è altrettanto vero che il sistema politico, nel suo complesso, è apparso incapace di produrre risultati concreti. Lo stesso vale se parliamo di pubblica amministrazione, lavoro o scuola.
Quanto successo in questi due anni evidenzia se non altro che le leggi approvate segnano comunque il passaggio dalle parole ai fatti. È chiaro che, se poi andiamo con la lente di ingrandimento a vedere i particolari delle qualità delle riforme, ognuno può dare giudizi positivi o negativi. Ma dal punto di vista culturale e rispetto al conservatorismo prevalente di tanti soggetti politici e sociali, credo che questo sia stato un elemento rivoluzionario che – ovviamente – come ogni altra occasione in cui si assume alla fine una decisione, crea comparti di convinto sostegno assieme ad altri comparti di convinta contrarietà.
Per reiterare questo spirito conservativo, certa sinistra non esita a rifugiarsi dietro il simulacro della “Costituzione più bella del mondo”…
Personalmente credo stia diventando stucchevole che su qualunque cosa si decida, venga chiamata in causa la violazione della Costituzione. Che si parli di lavoro, di giustizia o di scuola ormai il leitmotivè “attentato alla Costituzione” e la cosa fa il paio con la denuncia dei rischi per la tenuta democratica o delle derive autoritarie, cui ricorrono oggi le opposizioni in Parlamento. Sono i consueti argomenti coi quali si è sempre cercato di fermare qualsiasi processo riformista. Ripeto: sull’assoluta qualità delle riforme approvate ci sarà pure bisogno di aggiustamenti, ma è importante siano stati toccati con coraggio, superando barriere e scogli, dei temi sui quali chi si era azzardato a farlo era stato costretto a tornare indietro...
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