Il politologo Gianfranco Pasquino, intervistato su Quanderni Radicali 111, compie una disamina sull’attività del governo Renzi. Dalla riforma istituzionale alla giustizia e alla scuola, l’azione di questi due anni presenta il dato comune di una disorganicità di fondo derivante dall’assenza di una visione progettuale d’insieme dei campi di intervento.
Nella conclusione, Pasquino evidenzia come in fondo ciò non possa essere imputato al solo Renzi, essendo questa una condizione più generale delle leadership politiche di questa fase storica.
...Qual è l’opinione che ti sei fatto sui singoli segmenti dell’azione di governo svolta finora? In particolare, partirei dalla riforma istituzionale che hai appena ripreso come momento della sfida che Renzi lancia sul referendum. Aggiungo che, nella conversazione con Biagio de Giovanni, è emersa anche la considerazione che se è vero che l’ingresso sulla scena di Renzi è apparso come un evento, è altrettanto vero che la sua disattenzione per le realtà intermedie e locali, giocata tutta in termini di centralismo, può generare qualche problema nel prossimo voto amministrativo. Secondo te, sul fronte delle riforme istituzionali ed elettorali, va accolta la tesi per cui la modifica della Costituzione può rappresentare la premessa di una riduzione delle forme di rappresentanza, prefigurando in prospettiva conseguenze preoccupanti?
Non credo in nessun modo alla deriva autoritaria, anche se alcune punte autoritarie nel discorso costituzionale di Renzi senza dubbio possono profilarsi. Temo piuttosto una deriva che chiamerei “confusionaria”, nel senso che il governo di Renzi non sa bene cosa fare di questo Senato, né ha avuto la forza – e direi anche l’intelligenza – di decidere casomai di abolirlo. Non poteva farlo perché innanzi tutto gli premeva l’approvazione di una legge elettorale come l’Italicum, e con l’abolizione del Senato si poteva giustamente affermare che stava togliendo uno dei contrappesi e, dall’altro lato, stava dando un peso enorme all’elezione del governo da parte dei votanti, con un premio di maggioranza eccessivo.
Pertanto la mia obiezione è che chi vuole semplificare una democrazia parlamentare lo deve fare da un lato riducendo il numero dei “punti di veto” com’è appunto il Senato, che andava o ristrutturato in maniera totale o semplicemente eliminato anziché produrre, come si è fatto, una ristrutturazione pasticciata. Dall’altro lato, deve fare una legge elettorale molto sensibile al potere degli elettori, che si esplica non mettendo la crocetta al primo turno su un partito e al secondo su uno dei due soli partiti arrivati al ballottaggio, ma semmai adottando collegi uninominali.
La verità è che le riforme promosse da Renzi non hanno alcun senso sistemico. Non è chiaro a nessuno – né a lui né a Maria Elena Boschi – che tipo di sistema politico vogliono. Hanno abolito le province, ma come si è visto alcune loro funzioni sopravvivono; mantengono in vita delle Regioni che sono, com’è noto, soltanto dei carrozzoni cui è preposto sostanzialmente il compito di governare la sanità, cosa che almeno quindici di esse fanno peraltro abbastanza male. Non c’è una visione complessiva di che tipo di Paese debba essere l’Italia nei prossimi anni. È questa appunto la deriva confusionaria, non necessariamente autoritaria.
Va aggiunto che Renzi pensa di ottenere maggiori poteri come presidente del Consiglio attraverso l’Italicum, mentre invece i poteri di un premier dipendono moltissimo dalla sua capacità di governare non solo il Paese ma anche il “suo” partito. Qui Renzi è debolissimo e infatti ha scaricato sulle primarie il compito di selezionare i candidati per le prossime amministrative. Cosicché a quel punto potrà affermare, in caso di sconfitta, che hanno perso perché scelti dagli iscritti nei gazebo...
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