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22/12/24 ore

Crisi di rappresentanza, di partecipazione, di governabilità: per Giuliano Amato nulla deve cambiare


  • Luigi O. Rintallo

Dopo la nomina alla guida della Commissione sull’Intelligenza Artificiale, a Giuliano Amato è stata subito offerta da Marco Damilano la tribuna della rubrica su Rai3 del “Cavallo e la Torre” per esprimere opinioni e giudizi sul disegno di legge di riforma costituzionale che sarà presentato al Consiglio dei ministri di venerdì 3 novembre.

 

L’intervista, in onda il 31 ottobre, dà lo spunto per riflettere ancora una volta sulle storture del nostro sistema di informazione, il cui esito è incanalare ogni confronto sulla riforma costituzionale in discussione su percorsi precostituiti e pregiudizievoli, di fatto impedendone la comprensione e il corretto giudizio che ne dovrebbe conseguire.

 

Il procedimento è collaudato: anziché concentrare l’attenzione sulla natura reale del problema oggetto del confronto, la si sposta su versanti contigui dando rilevanza a contrapposizioni strumentali per poi simulare un dibattito su un’alternativa di fatto improponibile, perché una delle opzioni risulta preventivamente inaccettabile. Lo scopo vero dell’intera operazione è garantire – per così dire – un immobilismo restaurativo a garanzia del continuismo degli assetti di potere esistenti e, spesso, al gioco si prestano entrambi i fronti che inscenano la pseudo-dialettica.

 

Vale anche per la discussione sui cambiamenti da apportare al nostro impianto costituzionale. La crisi politico-istituzionale nella quale l’Italia si dibatte da almeno cinquant’anni a questa parte trova le sue motivazioni nella mancata soluzione di un equilibrio tra governabilità e rappresentatività. Lo si predica da tempo infinito a ogni convegno, ma non pare proprio che gli interventi legislativi finora avanzati abbiano mai davvero affrontato questo snodo, preferendo ricercare stratagemmi utili a ottenere vantaggi legati al momento e alle condizioni politiche particolari. 

 

Massima parte delle cause all’origine del problema istituzionale risiede nella natura ibrida del nostro ordinamento, pensato e approvato dopo la fine del Fascismo e della Seconda guerra mondiale. La Repubblica che ne scaturì si fondava su un Parlamento eletto proporzionalmente, con un capo di governo dai ridotti poteri, ma al contempo assegnava importanti prerogative a un Capo dello Stato eletto da parlamentari che lo designavano al ruolo di “garante”.

 

Sino al 1993, quando il sistema di voto diventò maggioritario, al Quirinale risiedeva una figura che, sebbene in modo indiretto, era espressione della maggioranza assoluta dei voti espressi nelle urne dai cittadini. Dopo l’adozione prima del Mattarellum (che attribuiva il 75% dei seggi con l’uninominale) e poi coi successivi sistemi con premi di maggioranza, l’inquilino del Quirinale è stato svincolato dall’effettiva manifestazione della sovranità popolare sia pure attraverso il voto delle assemblee legislative. È stato lo sciogliersi di questo nesso a sottrarre al Presidente della Repubblica quel gradiente di neutralità e garanzia, che gli consentiva di essere percepito come un saldo riferimento delle nostre istituzioni.

 

Di ciò pare non rendersi per niente conto Giuliano Amato nel corso dell’intervista con Marco Damilano, tant’è che ancora descrive il Presidente della Repubblica “come  forte garanzia di tutti nei confronti delle debolezze della politica”.

 

E prosegue denunciando come un vulnus, una ferita, la proposta di far eleggere direttamente il presidente del Consiglio dei ministri perché “fa impallidire il Capo dello Stato, lo rende una figura secondaria, lo priva dell’autorevolezza che oggi ha”. In realtà, il vero vulnus si è determinato trent’anni fa, quando si è consentito di trasformare una figura di garanzia in un soggetto protagonista e decidente, già privo di un mandato popolare diretto, facendolo per di più scaturire dal voto di rappresentanti che sedevano sui seggi virtuali dei premi elettorali di maggioranza.

 

Il dilemma premierato Sì/premierato No depista e deforma il dibattito sulle riforme necessarie della  nostra Legge fondamentale. Soprattutto impedisce di focalizzare l’obiettivo di rendere davvero funzionale il sistema istituzionale, estirpando la gramigna di quell’ibridismo cui prima si accennava.

 

Nel testo che sarà argomento di discussione in Parlamento nei prossimi mesi non si riscontrano dati che permettono di superare tale anomalia unica per l’Italia rispetto ad altri Paesi europei, perché permarrebbe la convivenza tra un premier eletto dal popolo e un presidente della Repubblica dotato di attributi decisionali pesanti (dalla facoltà di sciogliere le Camere alla presidenza del CSM e del Consiglio di Difesa). 

 

Inoltre, mantiene il premio elettorale per garantire il 55% dei seggi alla maggioranza di sostegno al governo, senza indicare come faceva almeno la tanto deprecata “legge truffa” del 1953 la soglia della percentuale di voti espressi per far scattare il premio.

 

 


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