Quando nel 2018, unico paese del G7, l’Italia decise di dare la propria adesione al disegno cinese del Belt and Road iniziative elaborato nel da Xi Jinping nel 2013, che l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte definì il modo migliore di “… impostare una più efficace relazione e costruire meglio rapporti che sono già molto buoni”, si capì subito che eravamo fuori strada…
La firma del Memorandum, costruito dal politicamente claudicante ministro degli esteri Luigi Di Maio, sotto la guida “accorta” di un vecchio volpone di governo democristiano come Vincenzo Scotti, fu pomposamente presentata nel marzo 2019 e vide protagonisti l’avvocato del popolo di Palazzo Chigi, il premier Conte, e lo stesso presidente cinese Xi, con una sfilza di ministri del governo giallo-verde M5S/Lega che facevano bella mostra al tavolo (non mancava anche il leghista Michele Geraci, chiamato allora il China-man della coalizione giallo-verde.
Il memorandum non solo non ha portato all’accordo (per fortuna), ma ha visto l’Italia, nel dicembre 2023, sfilarsi non estendendo la durata del memorandum firmato con la Cina oltre la sua scadenza (22 marzo 2024), pur nella conferma ovvia e un po’ retorica di "sviluppare e rafforzare la collaborazione bilaterale”…
Una delle tappe delle relazioni intergovernative ha visto la premier Giorgia Meloni recarsi a Pechino appunto per rafforzare la collaborazione, Come è andata?
“La visita della premier italiana Giorgia Meloni in questo frangente storico era estremamente difficile - ha scritto il prof Francescon Sisci, sinologo e analista politico - e quindi già partiva male. Forse anche per questo è riuscita a complicare ulteriormente una situazione globale molto delicata.
In breve, la firma alla Via della Seta del 2018 aveva incastrato l’Italia. La metteva in posizione di scontentare gli alleati e la Cina. Gli alleati erano scontenti perché era stato firmato un accordo politico che non volevano, e i cinesi perché l’Italia non avrebbe mantenuto le promesse fatte. Oggi l’Italia è uscita dalla Via della Seta ma ha siglato nuovi accordi che ugualmente mettono l’Italia in posizione di scontentare alleati e Cina…
C’è l’accordo sull’auto elettrica, che va contro le restrizioni del settore chieste dalla Ue. C’è l’accordo sull’Intelligenza Artificiale, territorio tecnologico di punta. Su questo terreno c’è un divario estremamente profondo tra Cina da una parte e Ue e Usa dall’altra e al tema da mesi il G7, a presidenza italiana, ha dedicato fiumi di riunioni. Infine, c’è un accordo su Fincantieri, che va ad aiutare di fatto la marina militare cinese che pattuglia il mare intorno a Giappone, Taiwan, Taiwan o Filippine contro le marine di questi paesi e marine europee (tra cui italiana) e americana. Non è chiaro cosa potrà fare l’Italia se non irritare Cina o alleati, e magari entrambi. Inoltre, i segnali non erano mancati…”.
Dunque siamo passati dalla pericolosa Via della Seta, che per Pechino era una forma di proseguire il suo apparente allargamento commerciale (più che legittimo) ma che in realtà è un’azione di allargamento politico che non sembra animato da intenzioni pacifiche e che vede i vertici del Partito Comunista Cinese (PCC) poco propenso a uscire dalla sua impostazione tutt’altro che democratica e di diritto.
Ma dalla visita della Meloni l’Italia esce ulteriormente incasinata.
“… Non è qui forse il momento di capire quale sia il calcolo cinese dietro gli accordi ma di certo così il governo dell’Italia cammina su una lastra di ghiaccio molto sottile - scrive ancora Francesco Sisci -. Non c’è un solo ritorno positivo per gli alleati e ci sono solo ritorni negativi a tutto tondo. L’Italia avrebbe dovuto andare in Cina, sì credo, ma fare discorsi veri e onesti a Pechino.
Avrebbe dovuto dire: Roma può fare certe cose e non altre. Avrebbe dovuto dire, c’è la storia e c’è la politica, si celebra il settimo centenario della morte di Marco Polo, un italiano (quando non c’era l’Italia politica) che per primo introdusse la Cina in Europa, che per secoli ne aveva in sostanza ignorato l’esistenza. Quindi pensiamo alla storia e da quello cerchiamo di ricostruire la politica.
Questa verità, pragmatica, non ideologica, avrebbe aiutato tutti, la posizione dell’Italia, della Cina, della Ue, e degli Usa…”.
Proprio con Francesco Sisci conversa, nell’audiovideo che segue, il direttore di Quaderni Radicali e Agenzia Radicale Giuseppe Rippa. Su questa che potremmo definire una visione molto approssimativa di come si tenta di costruire un’azione politica, che è palesemente precaria, in un contesto internazionale attraversato da mille contraddizioni e da un assedio (espresso con molte diversità per fortuna) da quanti con una cultura autoritaria vorrebbero costruire un nuovo e forse drammatico equilibrio del mondo…
- Cina: dalla pericolosa Via della Seta alla rischiosa via della Meloni. Conversazione Sisci/Rippa (Agenzia Radicale Video)
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