Un uomo di finanza, cinico e spregiudicato, ma anche un filantropo benefattore che promuove libertà, diritti umani e democrazia nel mondo: quando si parla di George Soros, emergono alcuni tratti peculiari che rendono da sempre il 94enne ebreo ungherese, naturalizzato americano, un personaggio controverso e suo malgrado poco amato.
La sua cattiva reputazione iniziò a prendere forma nel 1992, allorché gli venne attribuito un ruolo determinante nell’attacco speculativo che portò ai crolli e alle conseguenti svalutazioni della Sterlina inglesee della Lira italiana.
Nel “vendere o acquistare titoli o valute, Soros - si giustificherà poi lui stesso - era guidato da un unico pensiero: massimizzare i profitti, mettendo sul piatto rischi e possibilità di guadagno”, senza “tener conto delle conseguenze sociali, perché si sarebbero verificate comunque. I mercati finanziari contano infatti un numero di partecipanti sufficiente a far sì che nessuno, preso singolarmente, possa influenzare in maniera decisiva gli esiti effettivi”. Morale: “Sterlina e Lira si sarebbe svalutate comunque”.
Così come sarebbero ugualmente crollate le economie delle cosiddette Tigri asiatiche qualche anno dopo, nel 1997. Soros - chiamato nuovamente in causa - dissein seguito che il suo Fondo d’investimento l’aveva previsto sei mesi prima, ma “non aveva idea di quanto si sarebbe rivelata profonda la crisi”.
Un’idea ben precisa e non proprio lusinghiera sul suo conto se l’erano intanto già fatta in molti, prevalentemente nell’ambito del variegato universo anticapitalista, vetero-comunista, terzomondista e no-global, che sul finire del secolo scorso si mobilitava contro l’Occidente brutto, sporco e cattivo.
Evidentemente allora non era ancora ben chiaro che uno dei simboli della finanziarizzazione dell’economia per certi aspetti si impegnava a stare dalla parte opposta. E questo grazie alla parallela attività filantropica della Open Society Fund.
Soros creò Open Society Fund nel 1979 ispirandosi alle idee di Karl Popper sulla società aperta, ma con sostanziali variazioni sul tema. Se per Popper i nemici erano le società chiuse fondate su ideologie totalitarie (comunismo e nazismo), alle quali andava contrapposta una società sì imperfetta, ma aperta e capace di continui miglioramenti; per Soros - può sembrar strano - il nuovo pericolo da cui guardarsi era il “fondamentalismo del mercato”, il lasseiz faire, che divenne a suo dire ideologia con Thatcher e Reagan.
Confortato dall’esperienza sul campo Soros - raccontò nel libro “La Crisi del Capitalismo globale”, pubblicato nel 1998 - si propose per questo di “impedire l’autodistruzione del sistema capitalistico”; e decise di affrontare la crisi provocata da quello che considerava “la distorsione della società aperta”, promuovendo nel contempo “una società globale che sostenga un’economia globale” dove, se “esistono interessi collettivi che trascendono i confini geografici, la sovranità degli Stati deve essere subordinata al diritto internazionale e alle istituzioni internazionali”.
Da quel momento in avanti, i soldi raccolti e accumulati - e qui sta il paradosso - con “la mano invisibile della concorrenza tesa al massimo profitto” sarebbero serviti a osteggiare anche l’idea che “ogni attività sia regolata, nella misura del possibile, dalla mano invisibile della concorrenza tesa al massimo profitto, e da nulla di più invadente”.
Dopo tanti anni di carriera, la lista dei nemici a vario titolo di Soros si è allungata strada facendo: neonazisti, comunisti, fascisti e postfascisti, no-global, terzomondisti, la destra conservatrice e i cosiddetti neoliberisti…
Così come è lungo l’elenco di soggetti finiti nel suo “libro paga”. Di quest’ultimo aspetto ogni tanto qualcuno si duole non facendone mistero. Non ultima Giorgia Meloni, che di recente - a proposito di Elon Musk e del suo attivismo a favore di movimenti di estrema destra in Europa - ha lamentato piuttosto la “pericolosa ingerenza” di Soros, attraverso l’uso del suo ingente patrimonio “per finanziare in mezzo mondo partiti, associazioni ed esponenti politici”.
Meloni non è una fondamentalista del mercato; ci mancherebbe. La sua ossessione sorosiana è di un’altra natura: risale ai trascorsi di gioventù e può immaginarsi non necessariamente uguale ma più simile a quella di chi vede oggi in Soros il pianificatore della “sostituzione etnica” degli europei tramite l’immigrazione dai paesi africani, il fomentatore di insurrezioni popolari contro i governi di mezzo mondo, il promotore dell’ “ideologia gender” e del wokismo.
Il Soros cospiratore, magari giudaico-massonico, è ormai un classico della retorica complottista soprattutto di destra estrema, di fronte alla quale chi beneficia direttamente o meno dell’azione del filantro-capitalista mostra pudore e sta più che altro a guardare, senza spendersi più di tanto.
A conti fatti, Soros nell’immaginario è sempre il belzebù della finanza che pone a sinistra questioni morali e problemi di coscienza: la sua pecunia non olet, tuttavia resta un uomo “scomodo”; tutt’al più figura come il nemico del tuo nemico, che solo in quanto tale può definirsi un amico. Ma non troppo.
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