Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

22/11/24 ore

I nuovi referendum radicali, Immigrazione e clandestinità


  • Francesca Pisano

Saranno necessarie 500.000 firme da raccogliere entro la fine di Settembre per dare voce ai 12 quesiti referendari depositati in Cassazione dai Radicali nell’ambito della campagna "Cambiamo noi". Si ricorre così all’istituto di democrazia diretta per centrare alcuni obiettivi fondamentali per la società italiana, trascurati tuttavia da parte delle istituzioni.

 

Tra i temi affrontati quello dell’immigrazione si manifesta nella richiesta di abrogare il reato di clandestinità per “ingresso e soggiorno illegale” sul territorio italiano sancito dall’articolo 10 bis del Testo Unico sull’Immigrazione. Esso punisce una condizione più che una condotta e si accanisce nel provvedimento di respingimento. L’applicazione di questa procedura nei confronti dei migranti ha inoltre già determinato la condanna dell’Italia da parte della Corte europea per i diritti dell’uomo per non aver rispettato il principio del non-respingimento, contenuto nella Convenzione di Ginevra del 1951.

 

Il Referendum punta inoltre la riduzione a 60 giorni dei tempi massimi di detenzione all’interno dei CIE, questo periodo infatti risulta nella maggior parte dei casi sufficiente a comprendere se l’identificazione della persona è realmente possibile.

 

Attualmente, l’immigrato non regolarmente presente su territorio della Repubblica può essere trattenuto fino a un massimo di 18 mesi all’interno dei CIE, ma una volta uscito potrà anche essere ricondotto all’interno se viene ritrovato senza lavoro e senza permesso di soggiorno. Si realizza in questo modo l’inflizione di un “ergastolo bianco” e la misura attuata si rivela “inefficace, iniqua e ingiusta dal punto di vista civile, legale, morale, politico e sociale” come ha sostenuto Gabriella Guido, coordinatrice della Campagna LasciteCIE entrare che fa parte del Comitato Promotore dei referendum.

 

Oltre tutto, i Centri di identificazione ed espulsione risultano estremamente costosi anche in termini economici, si stima infatti che i soldi per mantenerli funzionanti sono stati pari a 18 milioni e 607 mila euro solo per il 2012. E’ doveroso, inoltre, tener presente che il provvedimento di detenzione prolungata contrasta con la direttiva comunitaria 2008/115/CE sui rimpatri la quale prevede solo in casi estremi la proroga del trattenimento fino a 18 mesi.

 

Altro baluardo della legge attualmente vigente in materia di immigrazione è quello sancito dall’art. 4 bis del Testo Unico sull’Immigrazione. Esso prevede che lo straniero sottoscriva, contestualmente alla presentazione della domanda per il rilascio del permesso di soggiorno, un Accordo di integrazione in base al quale si impegna a raggiungere specifici obiettivi di integrazione che dovrà conseguire nel periodo di validità del permesso di soggiorno. Questo impegno si formalizza nell’accumulo di crediti. La perdita integrale degli stessi comporta la revoca del permesso di soggiorno e l’espulsione dal territorio dello Stato. Una vera e propria corsa ad ostacoli, costellata di medaglie e bollini che per fortuna non si devono esibire sulla pelle, come avverrebbe per gli animali in corsa in un ippodromo.

 

Il quesito referendario promosso dai Radicali richiede l’abrogazione anche di quest’assurda procedura che non ha nulla a che vedere con i valori dell’integrazione. Il Referendum dovrebbe inoltre portare all’abrogazione dell’articolo 5 bis dello stesso Testo Unico. In base ad esso attualmente la concessione del permesso di soggiorno è ancorata alla stipula di un contratto di lavoro subordinato fra un “datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia e un prestatore di lavoro, cittadino di uno Stato non appartenente all'Unione europea o apolide”.

 

Il datore di lavoro deve, secondo la norma, assumersi le responsabilità e gli oneri a garanzia della regolarità della condizione dell’immigrato. Questi vincoli nella realtà vengono sistematicamente elusi e in contrapposizione alla legge centinaia di migliaia di migranti sono soggetti al ricatto continuo dei datori di lavoro. Ne deriva per contrasto l’effetto della concorrenza sleale rispetto ai lavoratori italiani e un incremento del fenomeno del lavoro nero o al servizio della microcriminalità.

 

Tra i dati su cui riflettere per cambiare ci sono inoltre quelli diffusi dal Dossier Caritas 2012, in base al quale nell’ultimo anno i permessi di soggiorno non rinnovati sono stati 263mila, di gran lunga superiori in numero rispetto a quelli rilasciati. Inoltre, secondo la Fondazione ISMU la regolarizzazione di almeno 500 mila lavoratori stranieri senza permesso di soggiorno porterebbe nelle casse dello Stato circa tre miliardi di euro in più di tasse ogni anno. La crescita e lo sviluppo dell’Italia devono necessariamente confrontarsi con l’integrazione e le leggi che regolano il settore dell’immigrazione, per dirla con le parole del presidente della Camera Laura Boldrini, “non possono essere improntate alla paura”.


Cambiamo noi, gli altri referendum a cura di Francesca Pisano

 

- Libertà di scelta nella destinazione dell' 8 per mille

- Droghe, niente carcere per i fatti di lieve entità

- Abolizione del finanziamento pubblico ai partiti

- Divorzio breve


Aggiungi commento