Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

24/12/24 ore

I nuovi referendum radicali, droghe: niente carcere per fatti di lieve entità


  • Francesca Pisano

Il referendum sulle droghe promosso dai Radicali mira a “eliminare la pena detentiva per fatti di lieve entità” che attengono alla normativa sugli stupefacenti. Se passasse il Sì resterebbe in vigore solo la sanzione penale pecuniaria della multa per un importo compreso fra i 3mila e i 26 mila euro per i casi di “coltivazione domestica, possesso e trasporto di quantità medie, condotte border line tra consumo e libero spaccio”. 

 

Il quesito questa volta chiede propriamente che sia soppresso il riferimento alla reclusione e alla pena detentiva sancito in alcuni passaggi fondamentali del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, all’articolo 73.

 

I radicali sostengono che le pluridecennali politiche proibizioniste attuate in Italia hanno portato soltanto a risultati fallimentari quali – come sottolineato da Mario Staderini - “l’aumento dei consumatori e l’abbassamento dell’età di inizio, la moltiplicazione delle sostanze e dei rischi per la salute, la crescita esponenziale del fatturato delle mafie, criminalizzazioni e carcerazioni di massa, democrazie corrotte”.

 

La prospettiva radicale sarebbe quella di una legalizzazione completa che tuttavia non è praticabile a causa dei vincoli disposti dalle Convenzioni internazionali di cui anche l’Italia è firmataria. Ma proprio in quest’ottica occorre considerare che la strategia disposta dalla Convenzione Onu del 1988 contro il traffico illecito di sostanze stupefacenti ha fallito e che la guerra contro la droga è stata vinta dai trafficanti.

 

Il World Drug Report 2012 delle Nazioni Unite ha stabilito che, nel 2012, una percentuale corrispondente al 5% della popolazione adulta ha fatto uso di droghe e che gli utilizzatori regolari sono 27 milioni di persone. Se ne deduce che è necessario adottare un nuovo modello di contrasto al traffico e all’utilizzo di stupefacenti.

 

In Italia si è verificato un aumento del consumo di cannabis e delle denunce per possesso, coltivazione e cessione in modiche quantità proprio da quando, nel 2006, è entrata in vigore la legge Fini – Giovanardi. Questa norma, inoltre, pur essendo in Europa la più proibizionista, ha per contrasto determinato che proprio qui si sia verificato il maggior incremento di consumatori di cannabis del continente.

 

Simili conclusioni si rispecchiano coi dati che vedono le nostre carceri fra le più sovraffollate in quanto una persona su tre è stata fermata per queste ragioni e un detenuto su quattro è tossicodipendente.

 

Lo scorso 27 maggio la Corte europea dei diritti dell’uomo ha confermato la condanna già pronunciata dai giudici di Strasburgo nei confronti dell’Italia per il sovraffollamento nelle carceri e i disagi che da esso derivano.

 

Il sistema penitenziario nazionale aveva infatti già subito la condanna per trattamento inumano e degradante inflitto ai detenuti. La Corte ha dichiarato che l’attuale situazione carceraria italiana è incompatibile con l’articolo 3 della Convenzione dei Diritti dell’uomo e del cittadino secondo il quale “nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.

 

L’ordinamento giuridico italiano dovrebbe invece perseguire misure alternative alla detenzione per i tossicodipendenti e l’attuazione di programmi terapeutici per il recupero di queste persone. In questo modo si eviterebbe che queste vite precipitino nel circolo vizioso dell’esclusione sociale e nel baratro della recidiva, quando viene inflitta la pena della detenzione in carcere al posto dell’attuazione di misure alternative per un progressivo reinserimento nella società.

 

Ma il nostro Paese in troppi casi simili non concede scampo o seconde possibilità, uno su tutti porta oggi il nome di Stefano Cucchi.


 Cambiamo noi, gli altri referendum a cura di Francesca Pisano

 

- Abolizione del finanziamento pubblico ai partiti

- Divorzio breve

- Immigrazione e clandestinità

- Libertà di scelta nella destinazione dell' 8 per mille

 

 

 


Aggiungi commento