ll 9 luglio scorso, ai sensi dello Statuto del Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito, articolo 2, un terzo degli iscritti da almeno sei mesi al partito ha convocato il 40° Congresso straordinario del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito, da giovedì 1 settembre (a partire dalle ore 14) a sabato 3 settembre, a Roma, presso il penitenziario di Rebibbia, Via Raffaele Majetti 75, con il seguente ordine del giorno:
Questo il comunicato dei convocatori del Congresso straordinario. Quaderni Radicali e Agenzia Radicale ritengono utile l’apertura di un dibattito precongressuale in questa fase critica e difficile dopo la morte di Marco Pannella.
Di seguito un nuovo intervento di Sivio Pergameno
I radicali dopo Marco
di Silvio Pergameno
Non esiste dubbio possibile sul fatto che con la scomparsa di Marco Pannella per il radicalismo italiano si è aperta una fase di particolare complessità, perché da un lato mai come in questo momento la traiettoria radicale appare indispensabile nel contesto italiano, ma non meno in quello europeo, mentre dall’altro “il fare politica” di Marco appare altrettanto irripetibile senza la sua costante presenza.
Marco era l’erede di una storia politica che era sbocciata nell’entre deux guerres e aveva trovato espressione nelle figure di Piero Gobetti, dei fratelli Rosselli, in Gaetano Salvemini, in Ernesto Rossi…. ma nella quale è indispensabile il riferimento anche alla politica sociale di Luigi Einaudi e alla Storia d’Europa di Benedetto Croce … E poi nel secondo dopoguerra, in particolare nella sinistra liberale che faceva capo al “Risorgimento Liberale” e al “Mondo” entrambi diretti da Mario Pannunzio e che poi aveva trovato espressione nella fondazione – nel 1955 -. del Partito radicale.
Ma prima il Partito liberale. Era un partito di destra, e la “sinistra liberale” nello starci dentro si sentiva le scarpe strette. Il suo mondo era un altro ed era tanto di sinistra che nel nuovo partito radicale, nato dalla sinistra liberale, ci furono subito molti che ritenevano che la nuova sinistra, la nuova sinistra unita, dovesse comprendere anche i comunisti. Il problema non era questo, non poteva essere posto in questi termini, certamente: ma l’idea di fondo – espressa, inespressa? - era quella che il liberalismo – liberismo economico compreso – era una componente essenziale di una politica di sinistra.
Marco comprese che la conquista del potere (per la via rivoluzionaria dei comunisti o per quella parlamentare dei socialdemocratici) era la tomba della sinistra, la cui strada maestra stava nella conquista non del potere, ma della libertà o forse, meglio, delle libertà da porre in atto con la lotta nonviolenta della disobbedienza civile, dei digiuni, dei sit in, dei referendum… mettendo in gioco se stessi, la propria stessa vita non quella degli altri. Ovviamente un discorso europeo, occidentale.
Non conquistare gli stati, ma contestare gli stati nella loro dimensione autoritaria e violenta. Già contestare gli stati. Intanto – sempre in Italia – era arrivato un altro contestatore degli stati, partendo da un discorso diverso: la serrata dimostrazione dell’impossibilità di una vera democrazia negli stati nazionali europei formulata da Altiero Spinelli, motivata dalla tragica constatazione del progressivo degrado delle democrazie nazionali a partire dall’ultimo trentennio del secolo diciannovesimo, in particolare proprio in Francia (il discorso sulla Germania bismarkiana è del tutto diverso, anche se convergente).
Nel pensiero di Spinelli era stato intanto coinvolto anche Ernesto Rossi nel quotidiano contatto del confino nell’isolotto di Ventotene, da cui il nome del famoso “Manifesto”, come del resto Spinelli si ritrovava anche nella critica social-liberale, che rappresenta l’altra componente del documento.L’idea di nazione era stata il veicolo delle libertà nel primo ottocento, ma, integrato negli stati, e divenutone erede delle politiche di potenza, il nazionalismo era stato il veicolo delle deriva autoritaria in Europa a cominciare dalla Francia (dall’affaire Dreyfuss al disastro della pace -?- di Versalilles a Vichy…) a Mussolini, Hitler, Franco, Horty e quant’altro. Per Altiero Spinelli nel 1941, quando il “Manifesto” fu scritto, la preoccupazione era sul futuro secondo dopoguerra. Nonostante i successi dell’”Asse” in quell’anno e l’Inghilterra rimasta sola e bombardata a tappeto dalle V2, la vittoria degli alleati era data per scontata.ma la riproduzione degli stessi stati avrebbe dato risultati analoghi a quelli precedenti, che è quello che sta succedendo e succederà se non corriamo ai ripari.
Una convergenza assolutamente necessaria tra Spinelli e Rossi e sulla quale si è ritrovato anche Marco, in particolare negli anni ottanta nel Parlamento europeo, quando stretta fu la sua collaborazione con Altiero, deluso dal corso degli avvenimenti e al termine della vita. E Marco accettò, comunque, di esserne il continuatore.
Ventotene, comunque. Perché, chissà perché? Proprio in questi giorni a Ventotene si sono riuniti i capi dei tre maggiori stati dell’Unione europea. Certo i motivi ci sono e sono di rilevanza estrema. Le democrazie europee, di fronte a problemi veri (crisi economica, migrazioni, Medio oriente…) stanno perdendo la testa. Viktor Orban in Ungheria, Norbert Hofer in Austria, l’Alternative fuer Deutschland in Germania (che tanti pensieri dà ad Angela Merkel) creano una brutta striscia nel cuore dell’Europa e ai confini con i paesi dell’est; e poi Marine Le Pen che nella migliore delle ipotesi si spera di bloccare con le ripetute coalizioni fra socialisti ed ex gaullisti (bellissimo!) e poi Podemos e i 5 stelle e Salvini e la Brexit….e le meravigliose socialdemocrazie del nord, sempre più convinte che è sempre meglio stare un po’ alla larga dei pericolosi europei…
E in tutto questo il neoimperialismo autocratico di Wladimir Putin, teso a ricostituire la grande Russia smembrata con il crollo dell’URSS e a realizzare una struttura eurasiatica a partire da intensi scambi con l’Estremo oriente attraverso una poderosa transiberiana a quattro binari su cui far viaggiare grandi convogli che trasportano enormi quantitativi di merci a duecento chilometri all’ora…
È il Putin che strizza l’occhio a tutti gli euroscettici, e offre commerci e grandi prospettive di collaborazione nei suoi progetti (Nordstrean docet)… e su questa strada già raccoglie ampi consenso in patria, tra i suoi concittadini, ai quali ha già assicurato un buon miglioramento del tenore di vita e offre ben gradite prospettive di grandezza nazionale….
Sia ben chiaro: il discorso è molto serio, forse è l’offerta dell’unico possibile sbocco positivo per la crisi economica europea. E proprio questo ci deve far pensare: l’anno prossimo, il 2017, può essere un anno fatale, con Putin che conosce bene il canto delle sirene e che farà di tutto per contrastare le sempre più deboli speranze degli europeisti e per gasare gli euroscettici con rosee promesse di affari di incommensurabile portata per l’industria e per l’agricoltura europea, mentre ha fatto pace con la Turchia, ha ottimi rapporti con l’Iran, spera di piazzare di nuovo Bashar el Assad… E tutto questo mentre negli USA la tendenza isolazionista riprende spazio…. Sia ben chiaro, non si tratta di buttare tutto a mare; si tratta di costruire rapidamente in Europa un soggetto che possa mettere in atto un discorso costruttivo, possibile con Putin (altro che le sanzioni per via della Crimea) e trovare un modus vivendi possibile senza buttare a mare principi e conquiste che dovremmo considerare irrinunciabili.
Non sappiamo se a Ventotene Merkel. Hollande e Renzi hanno parlato di queste cose. Le azioni future diranno se credono alla patria europea e cosa hanno deciso in proposito. Speriamo bene…
Il fatto è che poi anche sinceri democratici, in Italia e fuori, sono convinti che le nostre democrazie siano perfette e che non ci possa essere nulla di meglio. Ma meglio evitare di leggere cosa si dicono ad esempio i socialisti francesi nei loro congressi o non ricordare i porti cui è approdata l’Ostpolitk di quelli tedeschi: i frutti della nazionalizzazione del socialismo e la mancanza di liberalismo nella cultura socialista sono sotto gli occhi di tutti.
E senza dimenticare che certi avanzamenti registrati nei nostri paesi in materia di libertà sono il frutto della politica dei diritti civili contro gli stati conservatori, come ben dimostrano le terribili difficoltà e gli errori in cui incorre il laicismo francese diventato (ahinoi!) ideologia di stato, da Robespierre a Napoleone, da Guizot a Clemenceau, da Mitterrand a….
Certo, abbiamo sempre molto criticato la politica postcoloniale della Francia, ma non dimentichiamo che François Hollande e la Banca di Francia hanno accolto la proposta di istituire un ministro unico Ministro delle finanze per l’intera Unione Europea, con i poteri di un vero Ministro delle finanze. Speriamo bene.
Questo discorso – che non vuole certo essere esaustivo - riguarda tutti i radicali, riguarda il partito, riguarda noi di Quaderni Radicali e Agenzia Radicale, riguarda le associazioni e i movimenti per i diritti civili; la battaglia continua, senza dimenticare che i principi del liberalismo sono la chiave per una politica di sinistra, in particolare dopo la caduta del Muro di Berlino e che il primo avversario da fronteggiare sono gli stati nazionali, nel ricordo della difficile, dolorosa, entusiasmante storia dei veri liberali che oggi si tende a dimenticare.
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