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23/11/24 ore

'Marfa Girl', quel leggero passo oltre la soglia al Festival del Film di Roma


  • Florence Ursino

Caldo, ventoso, Texas, terra di confine, utero ghiacciato di esistenze immobili, cristallizzate. Larry Clark dona al Roma Film Festival la sua ennesima, irriverente, fotografia, addensando su di sé le nubi furenti di una critica in lutto per la conclamata morte della diegesi cinematografica così palese in quest'ultima opera del regista di 'Kids'.

 

Perché 'Marfa girl', in concorso nella kermesse capitolina, è provocatorio non tanto nella sua manifesta nudità, nel suo movimento aritmico e claudicante (come quello del suo giovane protagonista), quanto nel suo spontaneo esulare dalla fertile terra della significazione profonda e 'a ogni costo'.

 

Perché il Cinema, si sa, è l'occhio di Omero, è oralità impressa sulle pellicola, è pagine di inchiostro con la voce dell'immagine: è, per antonomasia, un percorso che si è invitati a compiere.

 

L'ultimo film di Clark invece non è una storia, non è un racconto di formazione adolescenziale, non è la minuziosa mappatura di un pozzo dove convergono i densi liquami sotterranei dell'America che conosciamo tutti (quella dell'immigrazione illegale, della convivenza coatta, della solitudine di spazi immensi e dimenticati). 'Marfa girl' è semplicemente la vita di un gruppo di persone catturata nella ragnatela apparentemente vuota e immobile della regia di Clark.

 

La 'preda' del regista statunitense resta sempre la stessa, quell'età borderline dai 14 ai 17 anni, limbo di pulsazioni sessuali, voglia di evadere, miraggi di libertà, osservata e catturata senza estatico clamore né drammatici sviluppi: Clark si limita a mettere in scena la sua percezione del limite, sia esso geografico, fisico, mentale, corporeo, e della delicata e spudorata fase di transizione che segna il suo superamento. Droga, sesso, corpi acerbi e affamati sono solo l'orma polverosa di quel leggero passo oltre la soglia di cui 'Marfa girl' è testimone muta.

 

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